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Malta, il sogno di Papa Francesco: “Accoglienza, l’antidoto al naufragio della civiltà”

Nell'ultima tappa del Viaggio Apostolico a Malta, il Papa incontra i migranti e lancia un monito all'Europa: "Comportiamoci con umanità, guardiamo le persone non come dei numeri, ma per quello che sono"

Dall’inviato a Malta – Accoglienza. Accoglienza e umanità. Questo l’antidoto per evitare il naufragio della nostra civiltà. Ne convinto Papa Francesco che, nell’ultima tappa del suo Viaggio Apostolico a Malta, fa visita al centro di accoglienza per migranti “Giovanni XXIII Peace Lab” a Hal Far. I volti di chi è fuggito dalle atrocità della guerra nei Paesi africani, duecento in tutto, in attesa (alcuni anche da anni) dello status di rifugiati, si mischiano a quelli degli ucraini, circa una cinquantina, che ai cancelli della struttura aspettano il Papa al grido di “No fly zone” e “Save our child”.

Tante storie, tanti destini diversi. Eppure tutte legate da un comune denominatore. Ne sono un esempio le testimonianze di alcuni di loro, che al Papa raccontano la propria vita. Come Daniel, nigeriano, che più volte ha pagato i contrabbandieri per imbarcarsi su un gommone (mai partito e, ovviamente, sena rimborso) e,, quando ci è riuscito, una nave italiana lo ha riaccompagnato in Libia, dove è stato prigioniero in un campo di detenzione. Riesce a uscire e dopo mesi si imbarca nuovamente: “Dopo 3 giorni in mare, sono arrivato a Malta, era la sesta volta che pagavo dei contrabbandieri. Quando la guardia costiera maltese ci ha salvati quasi non ci potevo credere. Purtroppo, però, la gioia è durata poco perché siamo stati rinchiusi in un centro detentivo per circa 6 mesi. Avevo perso la testa e tutte le sere chiedevo a Dio “perché?!” A volte piangevo! A volte avrei voluto essere morto. Mi chiedevo se il viaggio intrapreso fosse un errore. Perché uomini come noi devono considerarci dei nemici, dei criminali e non fratelli?”.

Parole a cui fanno eco quelle di Siriman: “Vivo ha Malta da 4 anni e mia moglie aspetta un bambino. Fuggiamo dalla guerra, dai conflitti violenti, dalle violazioni dei diritti umani. Pochi si rendono conto che anche noi coltiviamo un sogno nel nostro cuore: vivere in un luogo dove la violenza è impensabile, dove le persone in tutta la loro diversità sono accettate per quello che sono”. Per loro, aggiunge, l’Europa incarnava quel sogno. Ma “molti di noi non sono visti nella pienezza della loro umanità. Donne, uomini, bambini e minori non accompagnati diventano facilmente vittime di sfruttamento e abusi e non sono trattati con la dignità che ogni essere umano merita. La dignità umana non è sempre data per scontata”.

Francesco ascolta commosso e, prendendo la parola, si dice “contento di concludere la visita a Malta stando un po’ con voi”. Del resto la battaglia di civiltà in favore dei migranti di Bergoglio è nota fin dall’inizio del suo pontificato. Ripete le parole pronunciate pochi mesi fa a Lesbo: “Sono qui per dirvi che vi sono vicino… Sono qui per vedere i vostri volti, per guardarvi negli occhi”. E aggiunge: “Dal giorno in cui andai a Lampedusa, non vi ho mai dimenticato. Vi porto sempre nel cuore e siete sempre presenti nelle mie preghiere”.

Il Pontefice ricorda la citazione degli Atti degli Apostoli che è anche il motto di questo viaggio: “Ci trattarono con rara umanità”. Si riferisce al modo in cui i maltesi accolsero l’apostolo Paolo e tutti quelli che insieme a lui erano naufragati nei pressi dell’isola.

“Quella del naufragio è un’esperienza che migliaia di uomini, donne e bambini hanno fatto in questi anni nel Mediterraneo. E purtroppo per molti di loro è stata tragica”, dice Francesco. Che ammonisce, implicitamente l’Unione Europea: “C’è un altro naufragio che si consuma mentre succedono questi fatti: è il naufragio della civiltà, che minaccia non solo i profughi, ma tutti noi. Come possiamo salvarci da questo naufragio che rischia di far affondare la nave della nostra civiltà? Comportandoci con umanità. Guardando le persone non come dei numeri, ma per quello che sono, cioè dei volti, delle storie, semplicemente uomini e donne, fratelli e sorelle”.

Il Pontefice confessa che qualche tempo fa ha “ricevuto da questo Centro un’altra testimonianza: la storia di un giovane che raccontava il momento doloroso in cui aveva dovuto lasciare sua madre e la sua famiglia di origine. Questo mi aveva commosso e fatto riflettere. Ma anche tu Daniel, tu Siriman, e ognuno di voi ha vissuto questa esperienza di partire staccandosi dalle proprie radici. È uno strappo. Uno strappo che lascia il segno. Non solo un dolore momentaneo, emotivo. Lascia una ferita profonda nel cammino di crescita di un giovane, di una giovane”. Una ferita del genere impiega molto tempo a rimarginarsi. Ma soprattutto, sottolinea il Papa, “ci vogliono esperienze ricche di umanità: incontrare persone accoglienti, che sanno ascoltare, comprendere, accompagnare; e anche stare insieme ad altri compagni di viaggio, per condividere, per portare insieme il peso…”

Bergoglio pensa ai centri di accoglienza, ai quali lancia un monito: “quanto è importante che siano luoghi di umanità! Sappiamo che è difficile, ci sono tanti fattori che alimentano tensioni e rigidità. E tuttavia, in ogni continente, ci sono persone e comunità che accettano la sfida, consapevoli che la realtà delle migrazioni è un segno dei tempi dove è in gioco la civiltà. E per noi cristiani è in gioco anche la fedeltà al Vangelo”.

Prima di benedire i presenti, il Papa confessa di avere un sogno: “Che voi migranti, dopo aver sperimentato un’accoglienza ricca di umanità e di fraternità, possiate diventare in prima persona testimoni e animatori di accoglienza e di fraternità. Qui e dove Dio vorrà, dove la Provvidenza guiderà i vostri passi. Questo è il sogno che desidero condividere con voi e che metto nelle mani di Dio. Perché ciò che è impossibile a noi non è impossibile a Lui”.

La strada da percorrere, o meglio, da dove ripartire, è questa: “Dalle persone e dalla loro dignità. Non lasciamoci ingannare da chi dice: ‘Non c’è niente da fare’, ‘sono problemi più grandi di noi’, ‘io faccio gli affari miei e gli altri si arrangino’. No. Non cadiamo in questa trappola. Rispondiamo alla sfida dei migranti e dei rifugiati con lo stile dell’umanità, accendiamo fuochi di fraternità, intorno ai quali le persone possano riscaldarsi, risollevarsi, riaccendere la speranza”. Terminato l’incontro, il Papa fa rotta verso l’aeroporto. L’atterraggio a Roma è previsto intorno alle ore 20.

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