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Guerra in Ucraina, il Papa: “Su Putin mi hanno messo in bocca cose non dette”

1 luglio 2022 | 14:57
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Guerra in Ucraina, il Papa: “Su Putin mi hanno messo in bocca cose non dette”

Il Pontefice: “Va ripensato il concetto di ‘guerra giusta’”. E sull’Onu: “Le Nazioni Unite immobili perché non hanno il potere di imporsi”

Città del Vaticano – “È vero che se parlo io, tutti dicono ‘Il Papa ha parlato e ha detto questo’. Ma è anche vero che prendono una frase fuori dal contesto e ti fanno dire ciò che non intendevi dire. In altre parole, bisogna fare molta attenzione”. Lo sottolinea Papa Francesco in una intervista alla agenzia argentina Telam. “Per esempio, con la guerra, c’è stata un’intera controversia per una mia dichiarazione su una rivista dei gesuiti: ho detto che ’qui non ci sono né buoni né cattivi’ e ho spiegato perché. Ma hanno preso questa dichiarazione da sola e hanno detto: ‘Il
Papa non condanna Putin!’. La realtà è che lo stato di guerra è qualcosa di molto più universale, più serio, e non ci sono buoni e cattivi. Siamo tutti coinvolti e questo è ciò che dobbiamo imparare”.

“Credo sia giunto il momento di ripensare il concetto di ’guerra giusta’. Ci può essere una guerra giusta, c’è il diritto di difendersi, ma il modo in cui il concetto viene usato oggi deve essere ripensato”, prosegue il Santo Padre. “Ho affermato che l’uso e il possesso di armi nucleari è immorale. Risolvere le cose con una guerra significa dire no alla capacità di dialogo, di essere costruttivi, che gli uomini hanno – sottolinea -. Questa capacità di dialogo è molto importante. Esco dalla guerra e passo al comportamento comune. Pensa a quando stai parlando con qualche persona e, prima che finisci, ti interrompe e ti risponde. Non sappiamo ascoltarci. Non permettiamo all’altro di dire la sua. Bisogna ascoltare. Ascoltare quello che dice, ricevere. Dichiariamo guerra prima, cioè interrompiamo il dialogo. Perchè la guerra è essenzialmente una mancanza di dialogo”.

“Quando sono andato a Redipuglia nel 2014, per il centenario della guerra del 1914, ho visto l’età dei morti nel cimitero e ho pianto – ricorda il Pontefice -. Quel giorno ho pianto. Il 2 novembre, qualche anno dopo, sono andato al cimitero di Anzio e quando ho visto l’età di quei ragazzi morti, ho di nuovo pianto. Non mi vergogno di dirlo. Che crudeltà. E quando è stato commemorato l’anniversario dello sbarco in Normandia, ho pensato ai 30.000 ragazzi rimasti senza vita sulla spiaggia. Aprivano le barche e ordinavano loro: ’Scendere, scendere’, mentre i nazisti li aspettavano. È giustificabile, questo? Visitare i cimiteri militari in Europa aiuta a rendersene conto”.

“Dopo la Seconda Guerra Mondiale c’era molta speranza nelle Nazioni Unite. Non voglio offendere, so che ci sono ottime persone che lavorano, ma a su questo punto non hanno il potere di imporsi”, ribadisce poi il Santo Padre ricordando il ruolo dell’Onu. “Contribuiscono sì a evitare guerre, e penso a Cipro, dove ci sono truppe argentine. Ma per fermare una guerra, per risolvere una situazione di conflitto come quella che stiamo vivendo oggi in Europa, o come quelle vissute in altre parti del mondo, non hanno alcun potere. Senza offesa. È solo che la costituzione di cui dispongono non dà loro potere”, aggiunge.

“Ci sono alcune istituzioni benemerite che sono in crisi o, peggio ancora, che sono in conflitto. Quelle in crisi mi fanno sperare in un possibile progresso. Ma quelle in conflitto sono impegnate a risolvere questioni interne. In questo momento servono coraggio e creatività. Senza questi due elementi, non avremo istituzioni internazionali che possano aiutarci a superare questi gravissimi conflitti, queste situazioni mortali di morte”, dice ancora il
Papa.

Una Chiesa “Bergogliana”

Nella medesima intervista, il Pontefice parla anche della sua terra: “L’America Latina è ancora in questo lento cammino, di lotta, del sogno di San Martìn e Bolìvar, per l’unità della regione. È sempre stata vittima, e lo sarà sempre finché non si libererà del tutto dagli imperialismi sfruttatori”.

“Tutti i Paesi hanno questo problema. Non voglio menzionarli perché sono così evidenti che tutti li vedono. Il sogno di San Martin e Bolivar è una profezia, quell’incontro di tutto il popolo latinoamericano, al di là delle ideologie, con la sovranità. È su questo che dobbiamo lavorare per raggiungere l’unità latinoamericana –  aggiunge -. Dove ogni popolo senta di avere la propria identità e, allo stesso tempo, abbia bisogno dell’identità dell’altro. Non è facile”.

Nella Chiesa c’è un’impronta latinoamericana, Bergogliana? “Questo sì”, risponde il Santo Padre. “La Chiesa latinoamericana ha una lunga storia di vicinanza al popolo – spiega -. Se prendiamo le conferenze episcopali – la prima a Medellìn, poi a Puebla, Santo Domingo e Aparecida – è stata sempre in dialogo con il popolo di Dio. E questo ha aiutato molto. È una Chiesa popolare, nel vero senso della parola. È una Chiesa del popolo di Dio, che è stata snaturata quando il popolo non ha potuto esprimersi e ha finito per essere una Chiesa di caporali, con gli agenti pastorali al comando”.

Il popolo “si è espresso sempre più in ambito religioso e ha finito con l’essere protagonista della propria storia. C’è un filosofo argentino, Rodolfo Kush, che è quello che meglio ha colto cosa sia un popolo. Poiché so che mi ascolterete, vi consiglio di leggere Kush – prosegue il Papa -. È una delle grandi menti argentine, con libri sulla filosofia del popolo. In parte, questo è ciò che ha vissuto la Chiesa latinoamericana, anche se ha avuto tentativi di ideologizzazione, come lo strumento di analisi marxista della realtà per la Teologia della Liberazione. È stata una strumentalizzazione ideologica, un percorso di liberazione – mettiamola così – della Chiesa popolare latinoamericana. Ma una cosa sono i popoli, un’altra i populismi”. (fonte Agi)

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