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Il Papa: “Se viviamo con lo stile di Dio il mondo non sarà più un campo di battaglia” foto

Se il Papa non va in Africa, l'Africa va dal Papa. A San Pietro la messa in rito zairese con la comunità congolese romana in attesa del Viaggio Apostolico. Il Pontefice: "Cristo ci vuole agnelli, non lupi. Ma questo non significa essere ingenui"

Città del Vaticano – Se il Papa non va in Africa, l’Africa va dal Papa. Il Viaggio Apostolico in Congo e Sud Sudan è stato rimandato a causa del persistente dolore al ginocchio. Ma, come annunciato dallo stesso Bergoglio: “Purtroppo, con grande dispiacere, ho dovuto rinviare il viaggio in Congo e in Sud Sudan. Ma il 3 luglio, il giorno in cui avrei dovuto celebrare a Kinshasa, celebrerò una messa con la comunità congolese romana. Porteremo Kinshasa a San Pietro, e lì celebreremo con tutti i congolesi romani, che sono tanti!”. E così è stato.

Bonghi e strumenti a corde tradizionali risuonano tra i marmi e le statue bronzee di epoca barocca dell’Altare della Cattedra. Davanti al baldacchino del Bernini è un tripudio di abiti colorati, bandierine del Congo e danze che fanno da cornice alla celebrazione svoltasi col rito zairese.

Parola chiave dell’omelia, ispirata dalle letture del giorno, è “missione”. L’incontro co Dio, spiega il Papa, che presiede il rito restando sempre seduto, “cambia la vita sempre. È quello che accade ai discepoli nel Vangelo: per annunciare la vicinanza di Dio vanno lontano, vanno in missione. Perché chi accoglie Gesù sente di doverlo imitare, di fare come Lui ha fatto, che ha lasciato il cielo per servirci in terra, ed esce da sé stesso. Dunque, se ci chiediamo qual è il nostro compito nel mondo, che cosa dobbiamo fare come Chiesa nella storia, la risposta del Vangelo è chiara: la missione. Andare in missione, portare l’Annuncio, far sapere che Gesù è venuto dal Padre”.

E ammonisce: “Da cristiani non possiamo accontentarci di vivacchiare nella mediocrità. E questa è una malattia; tanti cristiani, anche tutti noi abbiamo il pericolo di vivacchiare nella mediocrità, facendo i conti con le nostre opportunità e convenienze, vivendo alla giornata. No, siamo missionari di Gesù”.

Si potrebbe obiettare: “Io non so come si fa, non sono capace!”. Eppure “il Signore invia i discepoli senza aspettare che siano pronti e ben allenati: non erano con Lui da molto tempo, eppure li manda. Non avevano fatto studi di teologia, eppure li manda. E anche il modo in cui li invia è pieno di sorprese – aggiunge il Papa -. Cogliamo dunque tre sorprese, tre cose che ci stupiscono, tre sorprese missionarie che Gesù riserva ai discepoli e riserva a ciascuno di noi se noi lo ascoltiamo”.

“L’equipaggiamento” è la prima delle tre sorprese: Cristo, infatti, a differenza di quanto si potrebbe pensare, non dice cosa portarsi dietro, ma “che cosa non prendere”. “Nessun bagaglio, nessuna sicurezza, nessun aiuto. Spesso pensiamo che le nostre iniziative ecclesiali non funzionino a dovere perché ci mancano strutture, ci mancano soldi, ci mancano mezzi: questo non è vero”. Per Cristo, spiega il Papa, “l’equipaggiamento fondamentale è un altro: il fratello”.

E’ curioso, aggiunge il Pontefice, che il Vangelo dice: “Li inviò a due a due”. Gesù non invia i suoi discepoli da soli, “non per conto proprio, sempre con il fratello accanto. Mai senza il fratello, perché non c’è missione senza comunione. Non c’è annuncio che funzioni senza prendersi cura degli altri. Allora possiamo chiederci: io, cristiano, penso più a quello che mi manca per vivere bene, o penso ad avvicinarmi ai fratelli, a prendermi cura di loro?”.

La seconda sorpresa riguarda “il messaggio”. “È logico pensare che, per prepararsi all’annuncio, i discepoli debbano imparare che cosa dire, studiare a fondo i contenuti, preparare discorsi convincenti e ben articolati. Questo è vero. Anche io lo faccio”, dice Francesco. Invece Gesù “consegna loro solo due frasette. La prima sembra persino superflua, trattandosi di un saluto: ‘In qualunque casa entriate, prima dite: ‘Pace a questa casa!”. Il Signore prescrive cioè di presentarsi, in qualsiasi posto, come ambasciatori di pace. Un cristiano porta sempre la pace”.

E, con uno sguardo implicito anche alla situazione in Ucraina, aggiunge: “Un cristiano si adopera perché entri la pace in quel posto. Ecco il segno distintivo: il cristiano è portatore di pace, perché Cristo è la pace. Da questo si riconosce se siamo suoi. Se invece diffondiamo chiacchiere e sospetti, creiamo divisioni, ostacoliamo la comunione, mettiamo la nostra appartenenza davanti a tutto, non agiamo in nome di Gesù. Chi fomenta rancore, incita all’odio, scavalca gli altri, non lavora per Gesù, non porta la pace”.

Oggi, cari fratelli e sorelle, preghiamo per la pace e la riconciliazione nella vostra patria, nella Repubblica Democratica del Congo, tanto ferita e sfruttata. Ci uniamo alle Messe celebrate nel Paese secondo questa intenzione e preghiamo perché i cristiani siano testimoni di pace, capaci di superare ogni sentimento di astio, ogni sentimento di vendetta, superare la tentazione che la riconciliazione non sia possibile, ogni attaccamento malsano al proprio gruppo che porta a disprezzare gli altri.

“La pace – ammonisce – comincia da noi; comincia da me e da te, da ognuno di noi, dal cuore di ciascuno di noi. Cambiano se per prima cosa il tuo cuore non è in guerra, non è armato di risentimento e di rabbia, non è diviso, non è doppio, non è falso. Mettere pace e ordine nel proprio cuore, disinnescare l’avidità, spegnere l’odio e il rancore, fuggire la corruzione, fuggire gli imbrogli e le furberie”.

Tutto il resto del messaggio affidato ai discepoli si riduce a poche parole: “È vicino a voi il regno di Dio!”. Cosa deve annunciare quindi il cristiano? “La vicinanza di Dio, che è il Suo stile; lo stile di Dio è chiaro: vicinanza, compassione e tenerezza. Questo è lo stile di Dio. Annunciare la vicinanza di Dio, ecco l’essenziale. La speranza e la conversione vengono da qui: dal credere che Dio è vicino e veglia su di noi: è il Padre di tutti noi, che ci vuole tutti fratelli e sorelle. Se noi viviamo sotto questo sguardo, il mondo non sarà più un campo di battaglia, ma un giardino di pace; la storia non sarà una corsa per arrivare primi, ma un pellegrinaggio comune”.

La terza “sorpresa” della missione riguarda invece il” nostro stile”. Gesù, infatti, spiega il Papa, “chiede ai suoi di andare nel mondo ‘come agnelli in mezzo ai lup’. Il buon senso del mondo dice il contrario: imponiti, primeggia! Cristo, invece, ci vuole agnelli, non lupi. Non vuol dire essere ingenui – no, per favore! -, ma aborrire ogni istinto di supremazia e sopraffazione, di avidità e di possesso”.

“Il discepolo di Gesù respinge la violenza, non fa male a nessuno – è un pacifico -, ama tutti. E se ciò gli sembra perdente, guarda il suo Pastore, Gesù, l’Agnello di Dio che così ha vinto il mondo, sulla croce. Così ha vinto il mondo. Il Signore ci aiuti ad essere missionari oggi, andando in compagnia del fratello e della sorella; avendo sulle labbra la pace e la vicinanza di Dio; portando nel cuore la mitezza e la bontà di Gesù, l’Agnello che toglie i peccati del mondo”, conclude il Papa.

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