Abusi sugli indigeni canadesi, il Papa: “La vergogna di noi credenti non deve mai cancellarsi”

26 luglio 2022 | 01:24
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Abusi sugli indigeni canadesi, il Papa: “La vergogna di noi credenti non deve mai cancellarsi”
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Abusi sugli indigeni canadesi, il Papa: “La vergogna di noi credenti non deve mai cancellarsi”

Il Pontefice incontra nuovamente le popolazioni delle First Nations, dei Métis e degli Inuit nella parrocchia nazionale degli indigeni: “Sembrerebbe più conveniente inculcare Dio nelle persone, anziché permettere alle persone di avvicinarsi a Dio. Ma non funziona mai. Dio non costringe, non soffoca e non opprime. Non si può annunciare Dio in un modo contrario a Dio. Eppure quante volte è successo!”

Edmonton – “Nulla può cancellare la dignità violata, il male subìto, la fiducia tradita. E nemmeno la vergogna di noi credenti deve mai cancellarsi”. Continua il viaggio “penitenziale” di Papa Francesco tra le popolazioni indigene del Canada. Dopo la visita e la preghiera tra le tombe della Collina degli Orsi di Maskwacis (leggi qui), ora il Pontefice incontra gli indiani d’America nella parrocchia del Sacro Cuore di Edmonton, chiesa elevata alla dignità di parrocchia nazionale delle First Nations, dei Métis e degli Inuit (la prima di questo genere in Canada) nel 1991. Tra le più antiche chiese cattoliche della città, in questo edificio la fede cattolica viene espressa nel contesto della cultura aborigena. L’edificio ospita molti pezzi unici di arte sacra creati da artigiani indigeni. Nel corso degli anni molti immigrati e rifugiati venuti da tutto il mondo per stabilirsi a Edmonton hanno fatto della Chiesa del Sacro Cuore la loro casa spirituale.

Francesco arriva a bordo di una Fiat 500 bianca. L’ingresso in chiesa avviene sulla sedia a rotelle mentre i tamburi suonano senza sosta. Il tamburo è uno strumento molto importante per gli indigeni poiché il suo suono, per la cultura indigena, sta a significare il battito del cuore del pianeta. Nella chiesa, distrutta da un incendio nel 202o e riaperta pochi giorni fa dopo un restauro durato due anni, appena in tempo per la visita del Pontefice, ci sono circa 200 tra parrocchiani e indigeni.

E proprio due parrocchiani, membri del Consiglio parrocchiale, fanno gli onori di casa. Candida Shepherd e Bill Perdue, raccontano la vita della comunità, etnicamente diversificata che comprende le numerose Prime Nazioni canadesi, i Meticci, gli Inuit e i cattolici eritrei, così come i residenti del quartiere McCauley di Edmonton. “Siamo una parrocchia cattolica indigena. La cura dei poveri e dei bisognosi è un valore fondamentale di questa comunità. Molte delle persone da noi servite nella nostra parrocchia di centro città si trovano in grave bisogno, a livello di povertà, dipendenza e mancanza di fissa dimora. Ogni giorno rispondiamo ai bisogni immediati di centinaia di persone che vengono alla nostra porta in cerca di un pranzo, vestiti, un cesto alimentare di emergenza o semplicemente incoraggiamento e preghiera”.

“Siamo poveri nelle finanze e ricchi nella fede cattolica e nella pratica della misericordia”. aggiungono i parrocchiani, consapevoli delle atrocità commesse in passato”. Tant’è che spiegano: “Molte di queste sfide possono essere ricondotte all’eredità del sistema scolastico residenziale indiano canadese, compreso quello gestito dalla Chiesa cattolica romana. La ringraziamo Santo Padre per aver ascoltato le nostre voci. La Sua presenza oggi ci dà la possibilità di confrontarci, capire, liberare e trascendere il nostro trauma”.

“Crediamo – concludono – con assoluta convinzione che ogni bambino sia importante. E che ogni donna e ogni ragazza siano sacre. La presenza del nostro Santo Padre qui oggi, in quanto Egli stesso ha difeso i diritti universali dei bambini e celebrato l’importanza della famiglia, è un riconoscimento della nostra convinzione che ogni bambino ha il diritto di avere genitori e nonni nella propria vita, il diritto di celebrare la loro cultura, indigena o non, e che ogni bambino ha diritto alla propria voce”. Poi il saluto nella loro lingua natia: “Hiy hiy”.

Francesco, che siede in presbiterio, al cui centro vi è un grande crocifisso che sormonta il tabernacolo incorniciato da alti bastoni di legno a riprodurre una tenda indiana, dopo i canti di lode, prende la parola. E, a differenza del discorso di stamattina, nel quale faceva memoria del male subito da parte dei cattolici e implorava il perdono, tra le sacre mura della parrocchia che accoglie First Nations, Métis e Inuit, parla di “riconciliazione”.

“A Roma, dopo avervi ascoltato, vi dissi che ‘un efficace processo di risanamento richiede azioni concrete’. Sono lieto di vedere che in questa parrocchia, nella quale confluiscono persone di diverse comunità, insieme a gente non indigena dei quartieri locali e a diversi fratelli e sorelle immigrati, tale lavoro è già iniziato. Ecco una casa per tutti, aperta e inclusiva, così come dev’essere la Chiesa, famiglia dei figli di Dio dove l’ospitalità e l’accoglienza, valori tipici della cultura indigena, sono essenziali: dove ognuno deve sentirsi benvenuto, indipendentemente dalle vicende trascorse e dalle circostanze di vita individuali”. Il Pontefice ringrazia i parrocchiani per “la vicinanza concreta a tanti poveri, sono numerosi anche in questo ricco Paese, attraverso la carità”.

Ma “non dobbiamo dimenticare che anche nella Chiesa al grano buono si mescola la zizzania. E proprio a causa di questa zizzania ho voluto intraprendere questo pellegrinaggio penitenziale”. E ammonisce: “Mi ferisce pensare che dei cattolici abbiano contribuito alle politiche di assimilazione e affrancamento che veicolavano un senso di inferiorità, derubando comunità e persone delle loro identità culturali e spirituali, recidendo le loro radici e alimentando atteggiamenti pregiudizievoli e discriminatori, e che ciò sia stato fatto anche in nome di un’educazione che si supponeva cristiana”.

Per Bergoglio, “l’educazione deve partire sempre dal rispetto e dalla promozione dei talenti che già ci sono nelle persone. Non è e non può mai essere qualcosa di preconfezionato da imporre, perché educare è l’avventura di esplorare e scoprire insieme il mistero della vita. Grazie a Dio, in parrocchie come questa, attraverso l’incontro, si costruiscono giorno dopo giorno le basi per la guarigione e la riconciliazione”.

Ma come ci si può riconciliare dopo questa tragedia? E’ un interrogativo che molti nativi canadesi si sono posti e a cui il Pontefice prova a rispondere: “Immagino la fatica, in chi ha sofferto tremendamente a causa di uomini e donne che dovevano dare testimonianza di vita cristiana, a vedere qualsiasi prospettiva di riconciliazione. Nulla può cancellare la dignità violata, il male subìto, la fiducia tradita. E nemmeno la vergogna di noi credenti deve mai cancellarsi”.

Eppure, ammonisce, “occorre ripartire e Gesù non ci propone parole e buoni propositi, ma la croce, quell’amore scandaloso che si lascia infilzare i piedi e i polsi dai chiodi e trafiggere la testa di spine. Ecco la direzione da seguire: guardare insieme Cristo, l’amore tradito e crocifisso per noi; guardare Gesù, crocifisso in tanti alunni delle scuole residenziali. Se vogliamo riconciliarci tra di noi e dentro di noi, riconciliarci con il passato, con i torti subiti e la memoria ferita, con vicende traumatiche che nessuna consolazione umana può risanare, lo sguardo va alzato a Gesù crocifisso, la pace va attinta al suo altare. Perché è proprio sull’albero della croce che il dolore si trasforma in amore, la morte in vita, la delusione in speranza, l’abbandono in comunione, la distanza in unità. La riconciliazione non è tanto un’opera nostra, è un dono che sgorga dal Crocifisso, è pace che viene dal Cuore di Gesù, è una grazia che va chiesta”.

Citando la lettera di San Paolo agli Efesini, il Papa ricorda “che Gesù, per mezzo della croce, ci ha riconciliati in un solo corpo. Di quale corpo parla? Della Chiesa. Ma, se pensiamo al dolore incancellabile provato in questi luoghi da tanti all’interno di istituzioni ecclesiali, viene solo da provare rabbia e vergogna”.

Le violenze contro gli indigeni sono avvenute “quando i credenti si sono lasciati mondanizzare e, anziché promuovere la riconciliazione, hanno imposto il loro modello culturale. Questo atteggiamento è duro a morire, anche dal punto di vista religioso. Infatti – ammonisce ancora il Pontefice -, sembrerebbe più conveniente inculcare Dio nelle persone, anziché permettere alle persone di avvicinarsi a Dio. Ma non funziona mai, perché il Signore non agisce così: egli non costringe, non soffoca e non opprime; sempre, invece, ama, libera e lascia liberi. Egli non sostiene con il suo Spirito chi assoggetta gli altri, chi confonde il Vangelo della riconciliazione con il proselitismo. Perché non si può annunciare Dio in un modo contrario a Dio. Eppure, quante volte è successo nella storia!”.

Francesco denuncia poi un atteggiamento comune a molti credenti, ancora oggi: “Mentre Dio semplicemente e umilmente si propone, noi abbiamo sempre la tentazione di imporlo e di imporci in suo nome. È la tentazione mondana di farlo scendere dalla croce per manifestarlo con la potenza e l’apparenza. Ma Gesù riconcilia sulla croce, non scendendo dalla croce”.

“Questa è la via: non decidere per gli altri, non incasellare tutti all’interno di schemi prestabiliti, ma mettersi davanti al Crocifisso e davanti al fratello per imparare a camminare insieme. Cari amici, i gesti e le visite possono essere importanti, ma la maggior parte delle parole e delle attività di riconciliazione avvengono a livello locale, in comunità come questa, dove le persone e le famiglie camminano fianco a fianco, giorno dopo giorno”, aggiunge il Papa.

“Pregare insieme, aiutare insieme, condividere storie di vita, gioie e lotte comuni apre la porta all’opera riconciliatrice di Dio”, un Dio, conclude Francesco, “che pianta la sua tenda tra di noi, ci accompagna nei nostri deserti: non abita in palazzi celesti, ma nella nostra Chiesa, che desidera sia casa di riconciliazione. Gesù, crocifisso risorto, che abiti in questo tuo popolo, che desideri risplendere attraverso le nostre comunità e le nostre culture, prendici per mano e, anche nei deserti della storia, guida i nostri passi sulla via della riconciliazione”.

E alle parole del Papa segue dapprima il silenzio e, poco dopo, il suono, ancora una volta, dei tamburi. Bergoglio prega poi il Padre Nostro con la comunità parrocchiale e benedice i presenti. Saluta quindi alcuni fedeli e, uscendo, benedice la statua di Santa Kateri Tekakwitha, prima indigena del Nord America ad essere stata proclamata santa dalla Chiesa cattolica. Quindi il rientro in auto al St. Joseph Seminary dove cena in privato. Domani (oggi pomeriggio in Italia), la giornata del Papa sarà all’insegna della figura di Sant’Anna, molto venerata dalle popolazioni indigene. E alla prima messa pubblica, nel Commonwealth Stadium, seguirà il suggestivo pellegrinaggio sul lago di Sant’Anna.

(Il Faro online) Foto © Vatican Media – Clicca qui per leggere tutte le notizie di Papa & Vaticano
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