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Francesco: “Siamo figli di una storia da custodire e artigiani di una storia da costruire”

Bagno di folla per il Pontefice al Commonwealth Stadium di Edmonton dove celebra la messa nella festa di Sant'Anna. Sulla papamobile Francesco si è alzato in piedi nonostante gli acciacchi al ginocchio, per baciare i bambini. Nell'omelia, tutta incentrata sui nonni, il Papa ammonisce: "Onorare i nostri anziani, fare tesoro della loro presenza, ci aiuta a costruire un avvenire migliore, un avvenire in cui per nessuno si ripeta la storia di violenza ed emarginazione subita dai nostri fratelli e sorelle indigeni"

Edmonton – “Siamo figli di una storia da custodire e artigiani di una storia da costruire”. E’ tutta incentrata sul ruolo dei nonni l’omelia pronunciata da Papa Francesco nel “Commonwealth Stadium” di Edmonton. Nel terzo giorno di Viaggio Apostolico in Canada, il Pontefice presiede la prima celebrazione eucaristica pubblica nel grande paese nordamericano. E lo fa nel giorno della festa dei Santi Anna e Gioacchino, i nonni di Gesù, tra i santi più venerati dalla popolazioni indigene del luogo.

Al suo arrivo, prima della messa, Bergoglio ha compiuto un giro tra i fedeli con la papamobile aperta. Il Commonwealth Stadium, un complesso di circa 17 ettari, situato a pochi minuti dal centro della città, nel quartiere McCauley, è un impianto sportivo polivalente all’aperto. Ospita principalmente le partite della locale squadra di football canadese Edmonton Elks, grandi eventi sportivi e internazionali e concerti. La sua costruzione iniziò nel 1975, vicino al vecchio Clarke Stadium, e fu completata nel 1978, in occasione dei Giochi del Commonwealth, da cui prende il nome, con una capienza di 42.500 spettatori. La struttura, nel corso degli anni, è stata sottoposta a diversi interventi di ristrutturazione e ammodernamento. Oggi, con una capienza di 56.302 spettatori, il Commonwealth Stadium è il più grande stadio all’aperto del Canada.

Il Papa, seduto sulla papamobile, si alza in piedi, nonostante i problemi di deambulazione a causa del ginocchio, per baciare i bambini e salutare le migliaia di persone provenienti da tutta la regione per partecipare al sacro rito. Una celebrazione che inizia con la processione iniziale senza il Papa. Mentre sacerdoti e vescovi salgono le scalette, il Pontefice fa il suo ingresso sul palco dove è allestito l’altare da dietro una tenda, posta subito dietro la sede, con indosso i paramenti sacri.

E nell’omelia, tutta incentrata sui nonni e il loro ruolo nella trasmissione della fede, Francesco ribadisce l’importanza di curare e prestare attenzione ai nostri anziani. “Siamo figli di una storia da custodire. Le nostre radici, l’amore che ci ha atteso e che abbiamo ricevuto venendo al mondo, gli ambienti familiari in cui siamo cresciuti, fanno parte di una storia unica, che ci ha preceduti e generati. Non l’abbiamo scelta, ma ricevuta in dono; ed è un dono che siamo chiamati a custodire”, dice il Pontefice in spagnolo mentre dagli altoparlanti dello stadio passa la traduzione in lingua inglese.

“Siamo qui grazie ai genitori, ma anche grazie ai nonni che ci hanno fatto sperimentare di essere benvenuti nel mondo – sottolinea il Papa -. Sono stati spesso loro ad amarci senza riserve e senza attendere qualcosa da noi: loro ci hanno presi per mano quando avevamo paura, rassicurati nel buio della notte, incoraggiati quando alla luce del sole dovevamo affrontare le scelte della vita. Grazie ai nonni abbiamo ricevuto una carezza da parte della storia che ci ha preceduto: abbiamo imparato che il bene, la tenerezza e la saggezza sono radici salde dell’umanità. Nella casa dei nonni in tanti abbiamo respirato il profumo del Vangelo, la forza di una fede che ha il sapore di casa”. E ribadisce quello che è diventato uno dei suoi mantra: “Grazie a loro abbiamo scoperto una fede familiare, domestica; sì, perché la fede si comunica essenzialmente così, si comunica ‘in dialetto’, si comunica attraverso l’affetto e l’incoraggiamento, la cura e la vicinanza”.

Questa è la nostra storia da custodire, la storia di cui siamo eredi: siamo figli perché siamo nipoti. I nonni hanno impresso in noi il timbro originale del loro modo di essere, dandoci dignità, fiducia in noi stessi e negli altri. Essi ci hanno trasmesso qualcosa che dentro di noi non potrà mai cancellarsi e, allo stesso tempo, ci hanno permesso di essere persone uniche, originali e libere.

Francesco non dimentica il motivo per cui è in Canada, ovvero chiedere perdono per le violenze commesse dai cattolici sugli indigeni. E proprio a quelle violenze si riferisce quando afferma: “Proprio dai nonni abbiamo appreso che l’amore non è mai una costrizione, non priva mai l’altro della sua libertà interiore. Cerchiamo di imparare questo come singoli e come Chiesa: mai opprimere la coscienza dell’altro, mai incatenare la libertà di chi ci sta di fronte e, soprattutto, mai mancare di amore e di rispetto per le persone che ci hanno preceduto e ci sono affidate, tesori preziosi che custodiscono una storia più grande di loro”.

Poi ammonisce: “Non dobbiamo dimenticarci della storia che ha partorito la nostra vita, dobbiamo ricordarci sempre di quelle mani che ci hanno accarezzato e tenuto in braccio, perché è a questa fonte che troviamo consolazione nei momenti di sconforto, luce nel discernimento, coraggio per affrontare le sfide della vita. Ma significa anche tornare sempre a quella scuola, dove abbiamo appreso e vissuto l’amore. Significa, di fronte alle scelte da prendere oggi, domandarci che cosa farebbero al nostro posto gli anziani più saggi che abbiamo conosciuto, che cosa ci consigliano o ci consiglierebbero i nostri nonni e bisnonni”.

Francesco interroga poi i credenti: “Parliamo con i nostri anziani, dedichiamo tempo per ascoltarli? E ancora, nelle nostre case, sempre più equipaggiate, moderne e funzionali, sappiamo ricavare uno spazio degno per conservare i loro ricordi, un luogo apposito, un piccolo sacrario familiare che, attraverso immagini e oggetti cari, ci permetta anche di elevare il pensiero e la preghiera a chi ci ha preceduto? Abbiamo conservato la Bibbia e il rosario dei nostri antenati? Pregare per loro e in unione con loro, dedicare tempo a fare memoria, custodire l’eredità: nella nebbia della dimenticanza che assale i nostri tempi vorticosi è fondamentale coltivare le radici. È così che cresce l’albero, è così che si costruisce il futuro”.

Il secondo aspetto su cui riflette il Papa è un invito a guardare al futuro: “Oltre che figli di una storia da custodire siamo artigiani di una storia da costruire. Ciascuno può riconoscere di essere quel che è, con le sue luci e le sue ombre, a seconda dell’amore che ha ricevuto o che gli è mancato. Il mistero della vita umana è questo: siamo tutti figli di qualcuno, generati e plasmati da qualcuno, ma diventando adulti siamo anche chiamati a essere generativi, padri, madri e nonni di qualcun altro”.

Bergoglio mette poi in guardia da quella che lui chiama “cultura dell’indietrismo”: “E non dimentichiamo che questo movimento che dà vita va dalle radici ai rami, alle foglie, ai fiori, ai frutti dell’albero. La vera tradizione si esprime in questa dimensione verticale: dal basso verso l’alto. Stiamo attenti a non cadere nella caricatura della tradizione, che non si muove in una linea verticale – dalle radici ai frutti – ma in una linea orizzontale – avanti/indietro – che ci porta alla cultura dell’’indietrismo’ come rifugio egoistico; e che non fa altro che incasellare il presente e conservarlo nella logica del ‘si è sempre fatto così'”.

“I nostri nonni e i nostri anziani hanno desiderato vedere un mondo più giusto, più fraterno e più solidale e hanno lottato per darci un futuro – prosegue il Papa -. Ora, tocca a noi non deluderli”. Come fare? Francesco invita a guardare ai santi Gioacchino e Anna: “Ci aiutino a custodire la storia che ci ha generato e a costruire una storia generativa. Ci ricordino l’importanza spirituale di onorare i nostri nonni e i nostri anziani, di fare tesoro della loro presenza per costruire un avvenire migliore”. Un avvenire, conclude il Santo Padre, “dove gli anziani non vengono scartati perché funzionalmente ‘non servono più’; un avvenire che non giudichi il valore delle persone solo da quanto producono; un avvenire che non sia indifferente verso chi, ormai avanti con l’età, ha bisogno di più tempo, ascolto e attenzione; un avvenire in cui per nessuno si ripeta la storia di violenza ed emarginazione subita dai nostri fratelli e sorelle indigeni. È un avvenire possibile se, con l’aiuto di Dio, non spezziamo il legame con chi ci ha preceduto e alimentiamo il dialogo con chi verrà dopo di noi: giovani e anziani, nonni e nipoti, insieme. Andiamo avanti insieme, sogniamo insieme”.

(Il Faro online) Foto © Vatican Media – Clicca qui per leggere tutte le notizie di Papa & Vaticano
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