Il Papa pellegrino al “lago di Dio” con gli indigeni canadesi: “La vera fraternità non teme differenze”

27 luglio 2022 | 02:36
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Il Papa pellegrino al “lago di Dio” con gli indigeni canadesi: “La vera fraternità non teme differenze”
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Il Papa pellegrino al “lago di Dio” con gli indigeni canadesi: “La vera fraternità non teme differenze”
Il Papa pellegrino al “lago di Dio” con gli indigeni canadesi: “La vera fraternità non teme differenze”
Il Papa pellegrino al “lago di Dio” con gli indigeni canadesi: “La vera fraternità non teme differenze”

Il Pontefice benedice il Lac Ste. Anne e, nel giorno della festa dei nonni di Gesù, lancia un appello a chi ha anziani in casa: “Avete un tesoro! Custodite tra le vostre mura una sorgente di vita: prendetevene cura, come dell’eredità più preziosa da amare e custodire”

Edmonton – Tornare alle fonti della fede, proteggendo e ascoltando i nostri nonni. E’ il messaggio che arriva dal Pontefice dalle sponde del lago di Sant’Anna di Edmonton, dove si conclude il suo terzo giorno di Viaggio Apostolico in Canada. Papa Francesco si fa pellegrino, assieme agli indigeni, al “lago di Dio”. Ancora una volta, protagonisti assoluti, sono i tamburi, che risuonano sulle acque del Lac Ste. Anne, lago ampio e poco profondo nell’Alberta centro-settentrionale, meta di un pellegrinaggio cattolico dalla fine del XIX secolo. Migliaia di pellegrini, provenienti soprattutto dal Canada e dagli Stati Uniti nord-occidentali, giungono ogni anno in questo lago per bagnarsi nelle sue acque “sante” e pregare. Chiamato Wakamne, ovvero “Lago di Dio” dai Nakota Sioux e “Lago dello Spirito” dal popolo Cree, fu nominato “Lac Ste. Anne” da padre Jean-Baptiste Thibault. Il missionario fu il primo sacerdote a stabilire una missione cattolica permanente, nel 1842, in Alberta, in questo posto già ritenuto sacro da generazioni e noto agli indigeni come luogo di guarigione.

Qui la prima chiesa fu costruita nel 1844 e, nel 1852, padre Albert Lacombe e padre René Remas iniziarono il servizio degli Oblati di Maria Immacolata. Da allora i missionari hanno servito ininterrottamente la zona. Il primo pellegrinaggio annuale fu organizzato dagli Oblati nel luglio 1889 e vi parteciparono 400 persone. È poi continuato ogni anno, nella settimana del 26 luglio, festa di Sant’Anna, venerata in molte comunità indigene canadesi, ed è diventato uno degli incontri spirituali più importanti per i pellegrini del Nord America e particolarmente caro alle popolazioni delle Prime Nazioni, che continuano a prendervi parte annualmente.

Ad accogliere il Papa, che siede sulla sedia a rotelle, davanti alla chiesa ci sono il parroco, il sacerdote incaricato dei pellegrinaggi e alcuni fedeli. I tamburi continuano a suonare mentre il piccolo corteo papale, con gli indigeni che indossano i tradizionali copricapo con le piume, si dirige verso il lago. Francesco, sempre sulla carrozzina, passa accanto alla statua di Sant’Anna, di cui oggi la Chiesa ne celebra la festa. Poi il bagno di folla. “Ti amiamo”, “Grazie Santo Padre”, urlano i presenti al passaggio del Pontefice che si ferma anche per baciare e benedire qualche neonato. Arrivato sulle sponde del lago, Papa Bergoglio fa il segno della croce verso i 4 punti cardinali, secondo la consuetudine indigena, e benedice l’acqua del lago. Quindi giunge al palco, dove è allestito un piccolo altare, benedicendo, lungo tutto il tragitto, i fedeli con l’acqua benedetta del lago. Il suono del tamburo si interrompe per lasciare spazio alla liturgia e alla preghiera.

Una celebrazione breve, il cui tema centrale è l’acqua. Tutto ruota attorno a questo ancestrale elemento. Le letture, tratte dal libro di Ezechiele e dal Vangelo di Giovanni, ne parlano in chiave simbolica. Francesco, nell’omelia, dopo aver salutato gli indigeni nella loro lingua, “âba-wash-did! Tansi! Oki! [buongiorno]”, racconta che più di ogni altra cosa, a colpirlo, in questi giorni di viaggio, è stato proprio il suono “dei tamburi che mi hanno accompagnato ovunque sono andato. Questo battito dei tamburi mi sembrava echeggiare il battito di molti cuori: i cuori che, nei secoli, hanno vibrato presso queste acque; i cuori di tanti pellegrini che hanno scandito insieme il passo per raggiungere questo ‘lago di Dio’! Qui si può veramente cogliere il battito corale di un popolo pellegrino, di generazioni che si sono messe in cammino verso il Signore per sperimentare la sua opera di guarigione”.

Ma qui, “immersi nel creato – fa notare il Pontefice -, c’è un altro battito che possiamo ascoltare, quello materno della terra. E così come il battito dei bimbi, fin dal grembo, è in armonia con quello delle madri, così per crescere da esseri umani abbiamo bisogno di cadenzare i ritmi della vita a quelli della creazione che ci dà vita. Riandiamo così oggi alle nostre sorgenti di vita: a Dio, ai genitori e, nel giorno e nella casa di Sant’Anna, ai nonni, che saluto con grande affetto”. Un battito che, sottolinea Bergoglio, “ci aiuta a tornare anche alle fonti della fede”. Infatti, prosegue il Papa, “ci permette di peregrinare idealmente” fino alla Terra Santa, dove Gesù, proprio sulle sponde di un lago, “scelse e chiamò gli Apostoli, proclamò le Beatitudini, narrò il maggior numero di parabole, compì segni e guarigioni”.

Un lago, quello della Galilea, “dove confluivano svariate popolazioni, colorando la regione di tradizioni e culti disparati. Si trattava del luogo più distante, geograficamente e culturalmente, dalla purezza religiosa, che si concentrava a Gerusalemme, presso il tempio”. Sulle sue rive “si incontravano pescatori e pubblicani, centurioni e schiavi, farisei e poveri, uomini e donne delle più variegate provenienze ed estrazioni sociali. Lì, proprio lì, Gesù predicò il Regno di Dio: non a gente religiosa selezionata, ma a popolazioni diverse che accorrevano da più parti come oggi, a tutti e in un teatro naturale come questo”.

Quel lago, che il Papa definisce “meticciato di diversità”, divenne “la sede di un inaudito annuncio di fraternità; di una rivoluzione senza morti e feriti, quella dell’amore. E qui, sulle rive di questo lago, il suono dei tamburi che attraversa i secoli e unisce genti diverse”, “ci ricorda che la fraternità è vera se unisce i distanti, che il messaggio di unità che il Cielo invia in terra non teme le differenze e ci invita alla comunione, a ripartire insieme, perché tutti siamo pellegrini in cammino”.

Come spesso accade, Francesco interroga i presenti: “Pellegrini a queste acque, che cosa possiamo attingervi?”. La risposa la trova nelle letture proclamate nella liturgia appena celebrata: “Il profeta Ezechiele ha ripetuto per due volte che le acque fatte scaturire dal tempio, per il popolo di Dio, ‘danno la ‘vita’ e ‘risanano’ (cfr Ez 47,8-9)”.

“Danno la vita”. E il pensiero del Pontefice argentino, che agli indigeni canadesi parla nella sua lingua madre, va alle nonne, soprattutto quelle “che sono qui con noi: carissime, i vostri cuori sono sorgenti da cui è scaturita l’acqua viva della fede, con la quale avete dissetato figli e nipoti”. E rivela: “Mi colpisce il ruolo vitale delle donne nelle comunità indigene: occupano un posto di rilievo in quanto fonti benedette di vita non solo fisica, ma anche spirituale. E, pensando alle vostre kokum, ripenso anche alla mia nonna”.

“Da lei – racconta – ho ricevuto il primo annuncio della fede e ho imparato che il Vangelo si trasmette così, attraverso la tenerezza della cura e la saggezza della vita. La fede raramente nasce leggendo un libro da soli in salotto, ma si diffonde in un clima familiare, si trasmette nella lingua delle madri, con il dolce canto dialettale delle nonne. Mi scalda il cuore vedere qui tanti nonni e bisnonni”.

Il Papa li ringrazia e lancia un appello a chi ha anziani in casa: “Avete un tesoro! Custodite tra le vostre mura una sorgente di vita: prendetevene cura, come dell’eredità più preziosa da amare e custodire”.

Ma le acque, come dice il profeta, non solo donano la vita, ma anche “risanano”. Un aspetto che il Pontefice ricollega, nuovamente, alle rive del lago di Galilea, dove Gesù guarì molti malati. E spiega: “Gesù è venuto e viene ancora a prendersi cura di noi, a consolare e risanare la nostra umanità sola e sfinita”. Tutti, aggiunge, “tutti noi abbiamo bisogno della guarigione di Gesù, medico delle anime e dei corpi”. E, senza dimenticare lo scopo di questo Viaggio Apostolico, che è un viaggio penitenziale, Francesco chiede ancora una volta perdono per le violenze e i soprusi commessi dai cattolici contro gli indigeni: “Signore noi stasera veniamo a te, con il dolore che abbiamo dentro. Ti portiamo le nostre aridità e le nostre fatiche, i traumi delle violenze subite dai nostri fratelli e sorelle indigeni”.

E prega: “In questo luogo benedetto, dove regnano l’armonia e la pace, ti presentiamo le disarmonie delle nostre storie, i terribili effetti della colonizzazione, il dolore incancellabile di tante famiglie, nonni e bambini. Aiutaci a guarire le nostre ferite. Sappiamo che ciò richiede impegno, cura e fatti concreti da parte nostra; ma sappiamo pure che da soli non ce la possiamo fare. Ci affidiamo a Te e all’intercessione della tua madre e della tua nonna”.

Il Pontefice ricorda la storia della Madonna di Guadalupe: “Durante il dramma della conquista, fu la Madonna di Guadalupe a trasmettere la retta fede agli indigeni, parlando la loro lingua e vestendo i loro abiti, senza violenze e senza imposizioni. E poco dopo, con l’arrivo della stampa, vennero pubblicate le prime grammatiche e i primi catechismi in lingue indigene. Quanto bene – aggiunge – hanno fatto in questo senso i missionari autenticamente evangelizzatori per preservare in tante parti del mondo le lingue e le culture autoctone!”.

In Canada, sottolinea il Santo Padre, questa “inculturazione materna” “è avvenuta per opera di sant’Anna, unendo la bellezza delle tradizioni indigene e della fede, e plasmandole con la saggezza di una nonna, che è mamma due volte”. Poi ammette: “Parte dell’eredità dolorosa che stiamo affrontando nasce dall’aver impedito alle nonne indigene di trasmettere la fede nella loro lingua e nella loro cultura. Questa perdita è certamente una tragedia, ma la vostra presenza qui è una testimonianza di resilienza e di ripartenza, di pellegrinaggio verso la guarigione, di apertura del cuore a Dio che risana il nostro essere comunità”.

Ed è per questo che oggi la Chiesa ha “bisogno di guarigione” e i cattolici “di essere risanati dalla tentazione di chiuderci in noi stessi, di scegliere la difesa dell’istituzione anziché la ricerca della verità, di preferire il potere mondano al servizio evangelico. Aiutiamoci, cari fratelli e sorelle, a dare il nostro contributo per edificare con l’aiuto di Dio una Chiesa madre come a Lui piace: capace di abbracciare ogni figlio e figlia; aperta a tutti e che parli a ciascuno; che non vada contro qualcuno, ma incontro a chiunque”.

E Papa Bergoglio traccia anche la strada da seguire: “Se vogliamo prenderci cura e risanare la vita delle nostre comunità, non possiamo che partire dai poveri, dai più emarginati”. “Troppo spesso – ammonisce – ci si lascia guidare dagli interessi di pochi che stanno bene; occorre guardare di più alle periferie e porsi in ascolto del grido degli ultimi; saper ascoltare il dolore di quanti, spesso in silenzio, nelle nostre città affollate e spersonalizzate, gridano: ‘Non lasciateci soli!'”. Un grido, fa notare il Pontefice, che arriva soprattutto dagli “anziani che rischiano di morire da soli in casa o abbandonati presso una struttura, o di malati scomodi ai quali, al posto dell’affetto, viene somministrata la morte”.

Ma questo è anche “il grido soffocato di ragazzi e delle ragazze più interrogati che ascoltati, i quali delegano la loro libertà a un telefonino, mentre nelle stesse strade altri loro coetanei vagano persi, anestetizzati da qualche divertimento, in preda a dipendenze che li rendono tristi e insofferenti, incapaci di credere in sé stessi, di amare quello che sono e la bellezza della vita che hanno. Non lasciateci soli è il grido di chi vorrebbe un mondo migliore, ma non sa da dove iniziare”.

Ma Gesù vuole che anche i suoi discepoli, e dunque anche tutti i credenti, possano essere di aiuto e consolazione agli altri: “A volte, un bel modo per aiutare un’altra persona è quello di non dargli subito ciò che chiede, ma di accompagnarla, di invitarla ad amare, a farsi dono. Perché è in questo modo che, attraverso il bene che potrà fare agli
altri, scoprirà i suoi fiumi di acqua viva, scoprirà il tesoro unico e prezioso che è”.

“Cari fratelli e sorelle indigeni, sono venuto pellegrino anche per dirvi quanto siete preziosi per me e per la Chiesa. Desidero che la Chiesa sia intrecciata a voi, come stretti e uniti sono i fili delle fasce colorate che tanti di voi indossano. Il Signore ci aiuti ad andare avanti nel processo di guarigione, verso un avvenire sempre più risanato e rinnovato. Credo sia anche il desiderio delle vostre nonne e dei vostri nonni. I nonni di Gesù, i santi Gioacchino e Anna, benedicano il nostro cammino”, conclude

Domani il Papa lascerà Edmonton per fare rotta verso Québec, capitale dell’omonima regione e seconda città più popolosa della provincia del Canada Orientale, dopo Montreal. Qui, nella Citadelle de Québec, la residenza ufficiale del Governatore Generale del Canada, nonché la più grande fortezza britannica del Nord America, avverrà l’incontro con le Autorità e il Corpo Diplomatico canadese.

(Il Faro online) Foto © Vatican Media – Clicca qui per leggere tutte le notizie di Papa & Vaticano
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