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Il Papa: “E’ l’ora di destarsi dal fondamentalismo: la religione è la strada per la pace”

14 settembre 2022 | 10:53
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Il Papa: “E’ l’ora di destarsi dal fondamentalismo: la religione è la strada per la pace”
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Il Papa: “E’ l’ora di destarsi dal fondamentalismo: la religione è la strada per la pace”
Il Papa: “E’ l’ora di destarsi dal fondamentalismo: la religione è la strada per la pace”

Il Pontefice in Kazakistan apre il VII Congresso internazionale dei leader religiosi: “Dio è pace e conduce sempre alla pace. Investire nell’istruzione, non nelle armi. Fino a quando continueranno a imperversare disparità e ingiustizie, non potranno cessare virus peggiori del Covid: quelli dell’odio, della violenza, del terrorismo”. Poi il monito ai Capi di Stato: “Il sacro non sia puntello del potere e il potere non si puntelli di sacralità!”

Nur-Sultan – “Dio è pace e conduce sempre alla pace”. Nella sua seconda giornata in Kazakistan, Papa Francesco apre il VII Congresso dei Leader delle religioni mondiali e tradizionali, evento che si volge triennalmente nella capitale di Nur-Sultan. L’incontro inizia con la preghiera in silenzio dei leader religiosi provenienti da tutto il mondo (ben 108 le delegazioni da 50 Paesi, alla quale segue l’apertura della sessione plenaria introdotta proprio col discorso del Pontefice. Francesco arriva in auto dalla Nunziatura apostolica, dove alloggia, al Palazzo dell’Indipendenza, dove ha luogo il Congresso che quest’anno, è dedicato al ruolo dei leader delle varie confessioni nello sviluppo spirituale e sociale dell’umanità nel periodo post pandemico.

Il primo incontro tra i leader religiosi in Kazakistan avvenne nel 2003, in quella che all’epoca era Astana, su iniziativa del primo presidente della Repubblica del Kazakistan, Nursultan Abishevich Nazarbayev. Un evento unico, perché, per la prima volta, ha visto i rappresentanti dell’intero mondo religioso riunirsi attorno a un unico tavolo, allo scopo di trovare punti di riferimento comuni per creare un’istituzione internazionale permanente, garantire il dialogo interreligioso e un processo decisionale coordinato. Da allora, tutti i Congressi che si sono susseguiti, ogni tre anni, – nel 2006, 2009, 2012, 2015 e 2018 – ad eccezione di quest’ultimo, che è stato posticipato di un anno a causa della pandemia, hanno visto la partecipazione di leader e rappresentanti di spicco islamici, cristiani, ebrei, buddisti, shintoisti, taoisti e di altre religioni tradizionali, e, alla fine di ogni incontro, la pubblicazione di un documento conclusivo congiunto, contenente dichiarazioni e appelli rivolti ai cittadini, ai popoli e ai governi del Paesi del mondo.

Sempre al centro delle discussioni, la promozione del dialogo interreligioso per il bene della pace e dello sviluppo e l’importante ruolo dei leader religiosi nel rafforzamento della sicurezza internazionale. La sala circolare, dove si sono riuniti triennalmente, dopo il 2003, i delegati delle principali religioni e fedi del mondo, si trova all’interno del Palazzo della pace e della riconciliazione, conosciuto anche come “Piramide della pace e della riconciliazione”, progettato dallo studio Norman Foster & Partners, costruito appositamente per questo evento nel 2004, e completato nel 2006, su iniziativa del presidente Nazarbayev. La struttura è stata concepita come sede permanente del Congresso e centro globale per la comprensione religiosa, la rinuncia alla violenza e la promozione della fede e dell’uguaglianza umana. Per ragioni di capienza, però, quest’anno l’evento si svolge nel Palazzo dell’Indipendenza.

Palazzo che ha visto il Pontefice protagonista con il suo intervento incentrato sul ruolo che la religione dovrebbe avere oggi nella vita, pubblica e privata, delle persone di tutto il pianeta. Francesco si rivolge ai presenti “con parole dirette e familiari”: li chiama “fratelli e sorelle” “in nome di quella fratellanza che tutti ci unisce, in quanto figli e figlie dello stesso Cielo”.

Beroglio, che nel discorso di ieri si rifaceva all’immagine della dombra (leggi qui), prende in prestito la voce del poeta kazako Abai, come popolarmente è chiamato, i cui scritti sono impregnati di religiosità. E, rivolgendosi agli altri leader religiosi, ammonisce: “Il mondo attende da noi l’esempio di anime deste e di menti limpide, attende religiosità autentica. È venuta l’ora di destarsi da quel fondamentalismo che inquina e corrode ogni credo, l’ora di rendere limpido e compassionevole il cuore”. Allo stesso modo, “è anche l’ora di lasciare solo ai libri di storia i discorsi che per troppo tempo, qui e altrove, hanno inculcato sospetto e disprezzo nei riguardi della religione, quasi fosse un fattore di destabilizzazione della società moderna”.

Francesco ricorda l’ateismo di Stato, imposto per decenni proprio in queste terre dell’Asia: la definisce una “mentalità opprimente e soffocante per la quale il solo uso della parola ‘religione’ creava imbarazzo. In realtà, le religioni non sono problemi, ma parte della soluzione per una convivenza più armoniosa”.

“La ricerca della trascendenza e il sacro valore della fraternità possono infatti ispirare e illuminare le scelte da prendere nel contesto delle crisi geopolitiche, sociali, economiche, ecologiche ma, alla radice, spirituali che attraversano molte istituzioni odierne, anche le democrazie, mettendo a repentaglio la sicurezza e la concordia tra i popoli. Abbiamo dunque bisogno di religione per rispondere alla sete di pace del mondo e alla sete di infinito che abita il cuore di ogni uomo”, il nuovo monito del Papa, che ribadisce: “È diritto di ogni persona rendere pubblica testimonianza al proprio credo: proporlo senza mai imporlo. È la buona pratica dell’annuncio, differente dal proselitismo e dall’indottrinamento, da cui tutti sono chiamati a tenersi distanti. Relegare alla sfera del privato il credo più importante della vita priverebbe la società di una ricchezza immensa; favorire, al contrario, contesti dove si respira una rispettosa convivenza delle diversità religiose, etniche e culturali è il modo migliore per valorizzare i tratti specifici di ciascuno, di unire gli esseri umani senza uniformarli, di promuoverne le aspirazioni più alte senza tarparne lo slancio”.

Andando poi a riflettere sul tema del Congresso di quest’anno, il Papa mette in evidenza “quattro sfide globali” a cui le religioni sono chiamate. “Il Covid-19 ci ha messo tutti sullo stesso piano: tutti ci siamo sentiti fragili, tutti bisognosi di assistenza; nessuno pienamente autonomo, nessuno completamente autosufficiente. Ora, però, non possiamo dilapidare il bisogno di solidarietà che abbiamo avvertito andando avanti come se nulla fosse successo, senza lasciarci interpellare dall’esigenza di affrontare insieme le urgenze che riguardano tutti. A ciò le religioni non devono essere indifferenti: sono chiamate a stare in prima linea, ad essere promotrici di unità di fronte a prove che rischiano di dividere ancora di più la famiglia umana”.

Secondo il Pontefice sta proprio a chi crede nel Divino “aiutare i fratelli e le sorelle della nostra epoca a non dimenticare la vulnerabilità che ci caratterizza: a non cadere in false presunzioni di onnipotenza suscitate da progressi tecnici ed economici, che da soli non bastano; a non farsi imbrigliare nei lacci del profitto e del guadagno, quasi fossero i rimedi a tutti i mali; a non assecondare uno sviluppo insostenibile che non rispetti i limiti imposti dal creato; a non lasciarsi anestetizzare dal consumismo che stordisce, perché i beni sono per l’uomo e non l’uomo per i beni. Insomma, la nostra comune vulnerabilità, emersa durante la pandemia, dovrebbe stimolarci a non andare avanti come prima, ma con più umiltà e lungimiranza”.

Ma nel post-pandemia, i credenti “sono chiamati” anche “alla cura: a prendersi cura dell’umanità in tutte le sue dimensioni, diventando artigiani di comunione – ripeto la parola: artigiani di comunione –, testimoni di una collaborazione che superi gli steccati delle proprie appartenenze comunitarie, etniche, nazionali e religiose”.

Una missione ardua, come la definisce Bergoglio, che bisogna iniziare “dall’ascolto dei più deboli, dal dare voce ai più fragili, dal farsi eco di una solidarietà globale che in primo luogo riguardi loro, i poveri, i bisognosi che più hanno sofferto la pandemia, la quale ha fatto prepotentemente emergere l’iniquità delle disuguaglianze planetarie. Quanti, oggi ancora, non hanno facile accesso ai vaccini, quanti! Stiamo dalla loro parte, non dalla parte di chi ha di più e dà di meno”. E ammonisce: “Fino a quando continueranno a imperversare disparità e ingiustizie, non potranno cessare virus peggiori del Covid: quelli dell’odio, della violenza, del terrorismo”.

La seconda sfida è quella della pace: “Negli ultimi decenni il dialogo tra i responsabili delle religioni ha riguardato soprattutto questa tematica. Eppure, vediamo i nostri giorni ancora segnati dalla piaga della guerra, da un clima di esasperati confronti, dall’incapacità di fare un passo indietro e tendere la mano all’altro”. Francesco sprona i leader religiosi a una purificazione del credo: “Memori degli orrori e degli errori del passato, uniamo gli sforzi, affinché mai più l’Onnipotente diventi ostaggio della volontà di potenza umana. Purifichiamoci dalla presunzione di sentirci giusti e di non avere nulla da imparare dagli altri; liberiamoci da quelle concezioni riduttive e rovinose che offendono il nome di Dio attraverso rigidità, estremismi e fondamentalismi, e lo profanano mediante l’odio, il fanatismo e il terrorismo, sfigurando anche l’immagine dell’uomo”. Poi, una spallata al patriarca Kirill (assente al Congresso, al suo posto una delegazione del Patriarcato di Mosca, ndr.): “Non giustifichiamo mai la violenza. Non permettiamo che il sacro venga strumentalizzato da ciò che è profano. Il sacro non sia puntello del potere e il potere non si puntelli di sacralità! Dio è pace e conduce sempre alla pace, mai alla guerra”. E, facendo nuovamente sue le parole del poeta Abi, Francesco incoraggia “a espandere il sapere, a valicare il confine della propria cultura, ad abbracciare la conoscenza, la storia e la letteratura degli altri. Investiamo, vi prego, in questo: non negli armamenti, ma nell’istruzione!”.

La terza sfida è uno dei temi più cari a Papa Francesco: l’accoglienza fraterna. “Oggi – spiega – è grande la fatica di accettare l’essere umano. Ogni giorno nascituri e bambini, migranti e anziani vengono scartati. C’è una cultura dello scarto. Tanti fratelli e sorelle muoiono sacrificati sull’altare del profitto”. Il pensiero del Pontefice va ai migranti, costretti a lasciare la propria casa a causa di “guerre, povertà, cambiamenti climatici, dalla ricerca di un benessere che il mondo globalizzato permette di conoscere, ma a cui è spesso difficile accedere”. “Un grande esodo è in corso”, dice il Santo Padre: “Non è un dato di cronaca, è un fatto storico che richiede soluzioni condivise e lungimiranti. Certo, viene istintivo difendere le proprie sicurezze acquisite e chiudere le porte per paura; è più facile sospettare dello straniero, accusarlo e condannarlo piuttosto che conoscerlo e capirlo. Ma è nostro dovere ricordare che il Creatore, il quale veglia sui passi di ogni creatura, ci esorta ad avere uno sguardo simile al suo, uno sguardo che riconosca il volto del fratello. Il fratello migrante bisogna riceverlo, accompagnarlo, promuoverlo e integrarlo”. “E impariamo pure a vergognarci: sì, a provare quella sana vergogna che nasce dalla pietà per l’uomo che soffre, dalla commozione e dallo stupore per la sua condizione, per il suo destino di cui sentirsi partecipi. È la via della compassione, che rende più umani e più credenti”, l’altro monito del Papa.

L’ultima sfida globale, che è anche uno dei mantra di questo pontificato, è “la custodia della casa comune. Di fronte agli stravolgimenti climatici occorre proteggerla, perché non sia assoggettata alle logiche del guadagno, ma preservata per le generazioni future. Uniamo gli sforzi anche in questa sfida. Non è l’ultima per importanza. Essa, infatti, si ricollega alla prima, a quella pandemica. Virus come il Covid-19, che, pur microscopici, sono in grado di sgretolare le grandi ambizioni del progresso, spesso sono legati a un equilibrio deteriorato, in gran parte per causa nostra, con la natura che ci circonda. Pensiamo ad esempio alla deforestazione, al commercio illegale di animali vivi, agli allevamenti intensivi… È la mentalità dello sfruttamento a devastare la casa che abitiamo. Non solo: essa porta a eclissare quella visione rispettosa e religiosa del mondo voluta dal Creatore. Perciò è imprescindibile favorire e promuovere la custodia della vita in ogni sua forma”.

“Cari fratelli e sorelle, andiamo avanti insieme, perché il cammino delle religioni sia sempre più amichevole. Non cerchiamo finti sincretismi concilianti, ma custodiamo le nostre identità aperti al coraggio dell’alterità, all’incontro fraterno. Solo così, su questa strada, nei tempi bui che viviamo, potremo irradiare la luce del nostro Creatore”, conclude Bergoglio.

Al discorso seguono gli incontri privati del Papa con alcuni leader religiosi presenti all’evento: tra gli altri, il grande imam di Al-Azhar, sceicco Ahmad Al-Tayyeb, con cui firmò ad Abu Dhabi il Documento sulla Fratellanza umana, e il rabbino capo ashkenazita d’Israele, David Lau, oltre ai rappresentanti di tutte le confessioni mondiali, compresa quella ortodossa anche se manca il patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill. Il pomeriggio sarà invece dedicato dal Papa alla piccola comunità cattolica del Kazakistan, con la messa alle 16.45 locali (le 12.45 in Italia) nel piazzale dell’Expo. Provenienti anche gruppi di fedeli cattolici provenienti dalla Russia.

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