La ricorrenza

Chi era Sant’Ippolito? La vera storia del vescovo martire patrono di Fiumicino

5 ottobre 2022 | 07:00
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Chi era Sant’Ippolito? La vera storia del vescovo martire patrono di Fiumicino

Viaggio nel tempo e nei secoli alla scoperta di Sant’Ippolito, vescovo d Portus. Qualcuno lo confonde con un antipapa, la storia del patrono di Fiumicino è ben diversa

Fiumicino – La cittadina di Fiumicino è in festa. Si celebrano oggi, infatti, i festeggiamenti per Sant’Ippolito, patrono di Fiumicino, la cui memoria, in realtà, ricorre il 23 agosto. Ma chi era Sant’Ippolito? Da dove veniva? Che cosa ha fatto per meritarsi il titolo di Santo?

La passio riportata dai Bollandisti, racconta che Ippolito era un arabs, probabilmente nativo della Persia. Come tanti altri pellegrini, era venuto a Roma per venerare le tombe di Pietro e Paolo e si era fermato per qualche tempo nell’Urbe, coinvolto nella vita liturgica e caritativa della vivace comunità cristiana. Quando si pone il problema di inviare un Vescovo nella città di Portus, dove fioriva l’ampio porto commerciale voluto dall’imperatore Traiano, viene scelto proprio Ippolito.

Siamo a metà del terzo secolo, in piena epoca di persecuzioni: un’epoca in cui il semplice nomen cristiano equivaleva ad una sicura condanna a morte. Ma questo non spaventò il Ippolito che, giunto a Portus, come ogni buon Vescovo, ha insegnato, celebrato, consacrato sacerdoti. Si è anche preso cura delle persone bisognose della comunità che, vivendo sul porto fluviale di Roma, più di ogni altra era chiamata ad accogliere i pellegrini cristiani che, sotto stretto anonimato, venivano a venerare le tombe degli Apostoli.

Ma il fervore creatosi attorno al pastore non rimane nascosto e, ben presto, Ippolito viene arrestato e condotto in carcere. Dopo un processo sommario, con l’invito a rinunciare al suo credo, viene condannato a morte. Secondo il racconto della passio, Ippolito viene gettato, con dei pesi legati a mani e piedi, in altam foveam, ovvero in una profonda cisterna piena d’acqua. Il corpo affonda e il vescovo muore.

I persecutori romani sono convinti di aver cancellato il futuro della comunità cristiana di Portus. Ma si sbagliano. Di nascosto, infatti, il corpo del vescovo viene preso e gelosamente custodito dai credenti. Quando poi l’imperatore Costantino dichiara il cristianesimo religio licita, sul luogo del martirio viene costruita prima una piccola edicola, alla quale seguirà un’ampia Basilica. Il corpo di Ippolito viene quindi traslato nel nuovo tempio e posto sotto l’altare maggiore. Un gesto dal significato molto forte: la testimonianza del primo Vescovo della Città è saldo fondamento per il ministero dei suoi successori.

La comunità cristiana, anche grazie alla testimonianza di Ippolito, cresce e si sviluppa. Ma la sorte di Portus, città di mare dell’Impero, è legata a quella di Roma. L’Insula Sacra, l’ampio e fertile territorio posta tra il mare, il canale navigabile e la foce del Tevere, ha un’aria malsana, è oggetto delle incursioni dei pirati e di quelle dei barbari, per cui viene abbandonata: gli abitanti fuggono da quelle terre un tempo ambite e gloriose.

Verso il X secolo, anche il vescovo di Porto si vede costretto a lasciare la propria sede, ormai ridotta ad un piccolo villaggio, e chiede al Papa di potersi trasferire sull’Isola Tiberina. Prima di partire, però, provvede a nascondere il corpo di Ippolito: scava sotto il pavimento della Cattedrale, vi pone il sarcofago di Sant’Ippolito, lo protegge con le parti smontate del ciborio dell’altare maggiore, e ricopre il tutto. Questo segna anche la fine della città. L’antica e ricca Portus, da quel momento, non esiste più.

Nel 1120 Papa Callisto II unisce la Diocesi Portuense a quella limitrofa di Sylva Candida. Nel mentre, però, la splendida basilica di Ippolito viene più volte saccheggiata e cade in rovina, fino ad essere sepolta. Tra le rovine di quelle che gli abitanti continuano a chiamare “Isola Sacra” continua però a svettare il campanile, usato come torre d’avvistamento. Così, nel XVIII secolo, il cardinal Rezzonico ordina degli scavi alla base della torre, e scopre un complesso sistema idrico sotterraneo. E’ chiaro, in una di quelle cisterne è stato annegato Sant’Ippolito. Per recuperarne la memoria, il Cardinale fa costruire una cappellina, tuttora esistente, e un monastero in cui tenta di avviare una forma di vita religiosa. Ma l’Isola Sacra è terra di nessuno, vivono solo pochi poverissimi pescatori, anzi fiorisce la malavita, e sembra impossibile invertire il corso degli eventi.

Passano così i secoli, finché negli anni Settanta del ‘900, durante uno scavo archeologico, con gran sorpresa di tutti, torna alla luce il tracciato della basilica di Ippolito: le mura crollate, i resti dell’altare, del presbiterio e della vasca battesimale. E, quando si scava davanti l’altare, ecco riemergere dalle ombre del tempo il sarcofago di Ippolito. Sopra reca un’iscrizione: Hic Requiescit Beatus Ypolitus Martyr. Torna viva la memoria di Sant’Ippolito, vescovo e martire, una figura che era stata perfino messa in dubbio l’esistenza, o era stato confuso con Ippolito romano o addirittura con un antipapa. E da circa vent’anni, il 5 di ottobre, a Fiumicino, i Vescovi presiedono la processione con le Reliquie di Sant’Ippolito dal Castello di Porto all’Isola Sacra, e celebrano l’Eucaristia sulle rovine di quella che fu la prima basilica cattedrale della Diocesi.

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