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Pedofilia nella Chiesa, in Italia 89 casi in due anni: il report della Cei

17 novembre 2022 | 14:04
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Pedofilia nella Chiesa, in Italia 89 casi in due anni: il report della Cei

La Conferenza Episcopale Italiana pubblica il primo report sugli abusi. Negli ultimi vent’anni dall’Italia trasmessi al Vaticano 613 fascicoli

Città del Vaticano – Contro la piaga della pedofilia nella Chiesa arriva l’ulteriore stretta della Conferenza Episcopale Italiana che per mettere un freno agli abusi ha avvitato un’ampia indagine in tutte le diocesi del Bel Paese. Un’indagine che continuerà anche nei prossimi anni e da cui emergono i primi dati. Dati riuniti nel primo Report sulla rete territoriale di servizi diocesani e interdiocesani per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili, promosso proprio dalla Cei, e presentato questa mattina nel corso di una conferenza stampa svoltasi nella Sala Marconi della Radio Vaticana.

I numeri emersi fanno gelare il sangue nelle vene: in appena due anni (2020-2021) sono 89 i casi di pedofilia segnalati nell’ambito della Chiesa in Italia. Un dato piccolo, se si pensa che sono stati gli anni del lockdown e delle zone rosse. “Nel biennio in esame – si legge nel rapporto – il totale dei contatti registrati da 30 centri di ascolto è stato pari a 86, di cui 38 contatti nel 2020 e 48 nel 2021”. Da brividi anche l’età delle vittime: tra i casi segnalati, infatti, 61 sono nella fascia di età 10-18 anni, 16 tra gli over 18 e 12 sotto i 10 anni.

Clicca qui per leggere il Primo Report completo sulla pedofilia nella Chiesa in Italia

Ma dal report emerge anche la grande azione di lotta e prevenzione agli abusi, che come hanno ricordato mons. Giuseppe Baturi, Segretario Generale della Cei, e mons. Lorenzo Ghizzoni, Presidente del Servizio Nazionale per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili della Cei, “sono un reato e peccato gravissimi”, intrapresa in questi anni dai Vescovi italiani. L’obiettivo del report, infatti, è quello di verificare, nel biennio 2020-2021, lo stato dell’arte in merito all’attivazione del Servizio Diocesano o Inter-diocesano per la tutela dei minori (SDTM/SITM), del Centro di ascolto e del Servizio Regionale per la tutela dei minori (SRTM) nelle Diocesi italiane.

Servizi che sono presenti in tutte le 226 diocesi italiane. Tuttavia, in questa prima indagine, i dati riguardano 158 diocesi su 166 diocesi coinvolte (8 servizi sono a carattere Inter-diocesano). Un servizio che concretamente si trasforma in un Centro di Ascolto, che hanno sede non nelle Curie Vescovili ma in luoghi distaccati (questo avviene nel 74,4% dei casi) così da rendere più libere di esprimersi chiunque vi si rivolge.

A contattare il Centro sono soprattutto donne (54,7%), avvenuto principalmente via telefono (55,2%) o, in misura inferiore, tramite online (28,1%). Chi contatta i centri lo fa per segnalare il fatto all’Autorità ecclesiastica (53,1%), o per richiedere informazioni (20,8%), o per avere una consulenza specialistica (15,6%). La rilevazione puntualizza anche che “il responsabile del Centro, in oltre due terzi dei casi, è un laico o una laica (77,8%)”. Una scelta, questa, voluta proprio dai vertici della Cei. E infatti meno frequente è la scelta di un responsabile del Centro sacerdote (15,5%), oppure di un religioso o una religiosa (6,7%). Tra i laici prevalgono nettamente le donne, che quindi rappresentano i due terzi dei responsabili.  Inoltre, “nella maggior parte dei casi (83,3%), i Centri di ascolto sono supportati da una equipe di esperti, prontamente formati attraverso corsi specifici.

“Il nostro obiettivo – spiega mons. Baturi – è quello di avviare un’azione più grande, anche a livello internazionale, per continuare la lotta contro la pedofilia non solo in Italia ma in tutto il mondo. Per questo è importante lo scambio di informazioni con gli altri Stati e le altre Conferenze Episcopali. Conoscere le altre strategie consente anche di condividere professionalità e competenze per una rete globale di prevenzione, tutela e lotta. Vogliamo non impalcature vuote o cose scenografiche o colpi volti ad attirare l’attenzione. Puntiamo ad aumentare la sensibilità di tutto l’ambiente ecclesiastico così che ogni persona che vive la Chiesa sia pronta a capire e ad agire”.

Abusi nella Chiesa italiana: l’identikit dei presunti autori

L’altro dato significativo che emerge dal report è il profilo dei presunti autori di abusi: si tratta di soggetti di età compresa tra i 40 e i 60 anni all’epoca dei fatti, in oltre la metà dei casi. Al momento dei fatti, gli “orchi” erano soprattutto preti (30). Seguono i laici (23) e infine i religiosi (15). Fa riflettere il ruolo dei laici accusati: insegnante di religione, sagrestano, animatore di oratorio o grest, catechista, responsabile di associazione.  Tutti i presunti reati, sono avvenuti quasi esclusivamente un luogo fisico (94,4%), in prevalenza in ambito parrocchiale (33,3%) o nella sede di un movimento o di una associazione (21,4%) o in una casa di formazione o seminario (11,9%).

L’azione della Chiesa

Dopo che la segnalazione è stata inviata all’Autorità ecclesiastica dai Centri di ascolto, tra le azioni poste in essere sono risultati prevalenti i “provvedimenti disciplinari”, seguiti da “indagine previa” e “trasmissione al Dicastero per la Dottrina della Fede”. Tra le azioni di accompagnamento delle presunte vittime, i Centri forniscono informazioni e aggiornamenti sull’iter della pratica (43,9%), organizzano incontri con l’Ordinario (24,6%), offrono un percorso di sostegno psicoterapeutico (14,0%) e di accompagnamento spirituale (12,3%). Sul risarcimento di somme in denaro, invece, la Cei precisa: “E’ un indennizzo che riguarda il Diritto Canonico e il Diritto Civile. Se al termine del processo si arriva a una sentenza in tal senso, allora sarà rispettato. Ma non abbiamo linee generali sul risarcimento al momento”.

Ai presunti autori degli abusi, invece, vengono proposti percorsi di riparazione, responsabilizzazione e conversione, compresi l’inserimento in “comunità di accoglienza specializzata” (un terzo dei casi rilevati) e percorsi di “accompagnamento psicoterapeutico” (circa un quarto dei casi). Il trasferimento, precisano, non è tra questi provvedimenti: “Un vescovo, se pensa che il suo prete accusato di aver commesso un abuso può provocarne un altro, allora può prendere iniziative per limitare il contatto con la comunità. Ma il trasferimento non è contemplato”.

“La nostra priorità – spiega poi mons. Ghizzoni – è quello della prevenzione. Vogliamo arrivare prima, vogliamo che non accada. Vogliamo dare la possibilità alle famiglie di poter accedere agli ambienti ecclesiastica in tutta sicurezza e tranquillità. Questo che è il primo report, e ci impegniamo a farlo ogni anno, ci ha dato una serie di indicazioni importanti per migliorare e far crescere proprio le attività di prevenzione”.

Prevenzione che fa rima con formazione. Vista anche la recente uscita di Papa Francesco sulla pronografia online, di cui anche preti e suore sarebbero fruitori, i due esponenti della Cei hanno chiariscono: “Nei seminari e nelle strutture di formazione la castità è un tema importante in vista del celibato. Certo la società odierna non aiuta a vivere castità. Ed è per questo che nei camini di formazione è necessario introdurre il discorso in modo esplicito. Come formare dei ragazzi di oggi a una vita che dovrà essere casta è la grande sfida perché la formazione di oggi su questo tema non può essere come quella di 40 anni fa. Internet è una sfida maggiore e per questo, come ha sottolineato il Santo Padre, dobbiamo formare all’uso dei mezzi di comunicazione e dei social”.

Il protocollo Cei-Vaticano

Ad oggi sono, in totale, 613 i fascicoli (in termine tecnico “ponenze”) riguardanti denunce di atti di abusi sessuali perpetrati da chierici in Italia, negli ultimi 20 anni, contenuti negli archivi del Dicastero per la Dottrina della fede, come ha spiegato mons. Giuseppe Baturi, precisando che proprio accedere a questi archivi sarà al centro di un Protocollo tra la Santa Sede e la Chiesa italiana. “Si tratta – ha detto Baturi – della prima volta che un simile passo viene compiuto ed è di una importanza fondamentale perché ci consentirà di conoscere i contesti e le circostanze in cui sono maturati questi eventuali abusi. Attraverso l’accesso a questi fascicoli, depositati presso gli archivi del dicastero, sarà possibile fare tutto ciò e la nostra volontà è andare a leggerli. In questo, per studiarli e valutarli, ci aiuteranno anche centri indipendenti”.

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