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Dietro l’omicidio di Pasolini a Ostia il furto di un film: la nuova “pista” dell’Antimafia

16 dicembre 2022 | 18:08
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Dietro l’omicidio di Pasolini a Ostia il furto di un film: la nuova “pista” dell’Antimafia

Un crimine che dopo mezzo secolo, resta “insoluto” e anche se “appaiono ormai del tutto improbabili soluzioni di carattere giudiziario resta utile, in prospettiva storica, che le ricerche sul movente e sulle modalità dell’aggressione che causarono la morte, entrambe mai chiarite, siano eventualmente riprese”

Roma – Il furto della pellicola originale di ‘Salò e le 120 giornate di Sodoma’ dietro l’uccisione di Pier Paolo Pasolini. E’ l’ipotesi della Commissione parlamentare Antimafia che, sul finire della scorsa legislatura, ha approvato una relazione, ora resa pubblica, sul delitto dello scrittore e regista ucciso la notte tra l’1 e il 2 novembre 1975 all’Idroscalo di Ostia.

Un crimine che dopo mezzo secolo, resta “insoluto” e anche se “appaiono ormai del tutto improbabili soluzioni di carattere giudiziario – sottolinea l’Antimafia – resta utile, in prospettiva storica, che le ricerche sul movente e sulle modalità dell’aggressione che causarono la morte, entrambe mai chiarite, siano eventualmente riprese”. In particolare il lavoro dell’Antimafia si è concentrato appunto sulle “acquisizioni relative al furto della pellicola originale ‘Salò o le 120 giornate di Sodoma’” e le “possibili connessioni” di quel furto con l’uccisione di Pasolini.

Nella relazione si sottolinea che ci sono state inchieste di giornalismo investigativo che hanno “definitivamente sgretolato l’iniziale ipotesi, purtroppo allora sostenuta dai mezzi di comunicazione e da alcune pronunce giurisdizionali, secondo cui l’assassinio dello scrittore sarebbe stato solo il tragico esito di un incontro sessuale sfociato estemporaneamente in una aggressione da parte di un unico individuo e cioè Pino Pelosi (condannato in via definitiva per l’omicidio di Pier Paolo Pasolini ndr)”.

Ripercorrendo recenti lavori di ricerca, l’Antimafia ricorda “omissioni particolarmente gravi” rispetto agli “accertamenti immediati che si sarebbero dovuti svolgere” come “la mancata audizione dei testimoni che abitavano nelle baracche della zona e che avevano udito quanto avvenuto quella notte e che avrebbero sin dal principio dato conto dell’evidenza che l’aggressione fu condotta da numerose persone” o “la mancanza, dopo l’omesso confinamento della zona ove il delitto era avvenuto, di approfondite perizie sulle gravi ferite riportate da Pasolini e sui mezzi con i quali queste erano state inferte”.

La Commissione ha dunque ritenuto di affrontare tale tema “anche per i suoi evidenti collegamenti con il mondo della criminalità organizzata romana dell’epoca, ma fondamentalmente in ragione di alcune dichiarazioni rese da Maurizio Abbatino (uno dei capi della Banda della Magliana, poi collaboratore di giustizia ndr)” che è stato sentito dalla Commissione di inchiesta in “due distinte occasioni”. Ascoltata durante i lavori anche la ricercatrice e giornalista Simona Zecchi, che si occupò del caso Pasolini.

Tra i temi al centro del lavoro della Commissione il furto di alcune ‘pizze’ di film, avvenuto a Ferragosto del 1975 da un capannone di Cinecittà, tra le quali anche una pellicola originale con scene del film di Pasolini ‘Salò o le 120 giornate di Sodoma’. Secondo alcune ipotesi all’origine dell’incontro all’Idroscalo di Ostia, in cui morì il poeta e regista, ci sarebbe stata proprio l’intenzione di recuperare la pellicola per non perdere irrimediabilmente alcune scene del suo film. Un incontro che, secondo questa ipotesi, sarebbe stato dunque una “trappola” non solo ad opera di Pelosi.

“Ho accolto la relazione con grande sorpresa e soddisfazione”, afferma l’avvocato Stefano Maccioni, legale del cugino di Pier Paolo Pasolini Guido Mazzon, commentando gli esiti della relazione della Commissione parlamentare Antimafia. “Io feci riaprire le indagini e scrissi un libro ‘Pasolini. Un caso mai chiuso’. Ho sempre sostenuto e ho sempre chiesto un approfondimento sul coinvolgimento della banda della Magliana”, continua il legale, che, riguardo all’ipotesi di un collegamento tra il furto della pellicola originale “Salò o le 120 giornate di Sodoma’” e l’uccisione avvenuta all’Idroscalo nel ’75, ricorda: “Io portai avanti questa tesi con delle indagini difensive. Il cugino di Pasolini, Nico Naldini, disse che Pasolini non teneva a quelle ‘pizze’ rubate, ma io rintracciai ed ascoltai il montatore e lui mi disse che invece teneva in modo particolare a quelle ‘pizze'”. L’avvocato è convinto che “ce ne sono di elementi” che fanno ipotizzare un collegamento e l’ipotesi di “una trappola” per attirarlo all’Idroscalo.

Non si è mai indagato, nonostante tutte le mie sollecitazioni, la procura non ha mai indagato sul movente – sottolinea il legale – E il movente è fondamentale perché fa cadere la versione di Pelosi, peraltro già caduta perché sul posto sono stati trovati tre dna diversi. E se ci stavano più persone e non solo Pelosi, cade l’omicidio a sfondo sessuale”. (fonte Adnkronos)

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