Il Papa striglia la Curia Romana: “Convertitevi”. E mette in guardia dai “demoni educati”

22 dicembre 2022 | 13:13
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Il Papa striglia la Curia Romana: “Convertitevi”. E mette in guardia dai “demoni educati”
Il Papa striglia la Curia Romana: “Convertitevi”. E mette in guardia dai “demoni educati”
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Il Papa striglia la Curia Romana: “Convertitevi”. E mette in guardia dai “demoni educati”

Nei tradizionali auguri alla Curia Romana, Papa Bergoglio (per il decimo anno di fila) invita cardinali e vescovi e un serio esame di coscienza

Città del Vaticano – Un invito alla conversione, l’ennesimo, a guardare al Concilio Vaticano II come bussola per il futuro, e un monito sui “demoni educati”. Si potrebbe sintetizzare in questi tre punti il lungo discorso di auguri natalizi alla Curia Romana pronunciato da Papa Francesco. Non un semplice discoro di auguri ma, come ci ha abituato il Pontefice argentino in questi dieci anni, è un vero e proprio esame di coscienza che si accompagna al bilancio dei vari Dicasteri.

Nell’Aula delle Benedizioni, situata sopra il portico della basilica di San Pietro, l’appello alla conversione, Francesco lo lega ai sessant’anni dall’inizio del Vaticano II, che lui stesso definisce “una grande occasione di conversione per tutta la Chiesa”, ricordando ai porporati, ai vescovi, ai preti e alle suore, che “l’eresia vera non consiste solo nel predicare un altro Vangelo (cfr Gal 1,9), come ci ricorda Paolo, ma anche nello smettere di tradurlo nei linguaggi e nei modi attuali, cosa che proprio l’Apostolo delle genti ha fatto. Conservare significa mantenere vivo e non imprigionare il messaggio di Cristo”.

Il vero problema, però, che tante volte dimentichiamo, è che la conversione non solo ci fa accorgere del male per farci scegliere il bene, ma nello stesso tempo spinge il male ad evolversi, a diventare sempre più insidioso, a mascherarsi in maniera nuova affinché facciamo fatica a riconoscerlo. È una vera lotta. Il tentatore torna sempre, e torna travestito.

Per il Santo Padre, “è troppo poco denunciare il male, anche quello che serpeggia in mezzo a noi. Ciò che si deve fare è decidere una conversione davanti ad esso. La semplice denuncia può darci l’illusione di aver risolto il problema, ma in realtà quello che conta è operare dei cambiamenti che ci mettano nella condizione di non lasciarci più imprigionare dalle logiche del male, che molto spesso sono logiche mondane”.

La conversione, tuttavia, senza vigilanza, non ha senso: “il male che abbiamo riconosciuto e tentato di estirpare dalla nostra vita, effettivamente si allontana da noi; ma è da ingenui pensare che rimanga lontano per lungo tempo. In realtà, dopo un po’ si ripresenta a noi sotto una nuova veste. Se prima appariva rozzo e violento, ora invece si comporta in maniera più elegante ed educata”.

Da qui il monito sui “demoni educati”: “entrano con educazione, senza che io me ne accorga. Solo la pratica quotidiana dell’esame di coscienza può far sì che ce ne rendiamo conto. Per questo si vede l’importanza dell’esame di coscienza, per vigilare la casa”.

Francesco ricorda il famoso caso delle monache di Port Royal. Nel XVII Una delle loro abbadesse, Madre Angelica, era partita bene: aveva “carismaticamente” riformato sé stessa e il monastero, respingendo dalla clausura perfino i genitori. “Era una donna piena di doti, nata per governare, ma poi diventò l’anima della resistenza giansenista, mostrando una chiusura intransigente persino davanti all’autorità ecclesiastica. Di lei e delle sue monache si diceva: ‘Pure come angeli, superbe come demoni’. Avevano scacciato il demonio, ma poi era tornato sette volte più forte e, sotto la veste dell’austerità e del rigore, aveva portato rigidità e presunzione di essere migliori degli altri. Sempre torna: il demonio, cacciato via, torna; travestito, ma torna. Stiamo attenti!”.

Cari fratelli e care sorelle, a tutti noi sarà successo di perderci. Sono peccati che ci hanno umiliato, e proprio per questo, per grazia di Dio, siamo riusciti ad affrontarli a viso scoperto. Ma la grande attenzione che dobbiamo prestare in questo momento della nostra esistenza è dovuta al fatto che formalmente la nostra vita attuale è in casa, tra le mura dell’istituzione, a servizio della Santa Sede, nel cuore stesso del corpo ecclesiale; e proprio per questo potremmo cadere nella tentazione di pensare di essere al sicuro, di essere migliori, di non doverci più convertire.

E avverte ancora: “Noi siamo più in pericolo di tutti gli altri, perché siamo insidiati dal ‘demonio educato’, che non viene facendo rumore ma portando fiori. Scusatemi, fratelli e sorelle, se a volte dico cose che possono suonare dure e forti, non è perché non creda nel valore della dolcezza e della tenerezza, ma perché è bene riservare le carezze agli affaticati e agli oppressi, e trovare il coraggio di ‘affliggere i consolati’, come amava dire il servo di Dio don Tonino Bello, perché a volte la loro consolazione è solo l’inganno del demonio e non un dono dello Spirito”.

Nel concludere il suo intervento, il Papa torna sul tema della pace e della guerra in Ucraina: “Mai come in questo momento sentiamo un grande desiderio di pace. Penso alla martoriata Ucraina, ma anche a tanti conflitti che sono in atto in diverse parti del mondo. La guerra e la violenza sono sempre un fallimento”, ribadisce, prima di lanciare l’ennesima frecciatina al patriarca Kirill: “La religione non deve prestarsi ad alimentare conflitti. Il Vangelo è sempre Vangelo di pace, e in nome di nessun Dio si può dichiarare ‘santa’ una guerra”.

Una “cultura della pace”, sottolinea poi il Santo Padre, “non la si costruisce solo tra i popoli e tra le nazioni. Essa comincia nel cuore di ciascuno di noi. Mentre soffriamo per l’imperversare di guerre e violenze, possiamo e dobbiamo dare il nostro contributo alla pace cercando di estirpare dal nostro cuore ogni radice di odio e risentimento nei confronti dei fratelli e delle sorelle che vivono accanto a noi”. E ammonisce: “Se è vero che vogliamo che il clamore della guerra cessi lasciando posto alla pace, allora ognuno inizi da sé stesso. San Paolo ci dice chiaramente che la benevolenza, la misericordia e il perdono sono la medicina che abbiamo per costruire la pace”.

Ogni guerra per essere estinta ha bisogno di perdono, altrimenti la giustizia diventa vendetta, e l’amore viene riconosciuto solo come una forma di debolezza.

E conclude: “Dio si è fatto bambino, e questo bambino, diventato grande, si è lasciato inchiodare sulla croce. Non c’è cosa più debole di un uomo crocifisso, eppure in quella debolezza si è manifestata l’onnipotenza di Dio. Nel perdono opera sempre l’onnipotenza di Dio. La gratitudine, la conversione e la pace siano allora i doni di questo Natale”.

Al termine del discorso, come da prassi, il saluto dei presenti per gli auguri individuali. E il Papa regala loro due libri: “Passiamo all’altra riva” di don Benito Giorgetta (un dialogo con Luigi Bonaventura, ex mafioso divenuto collaboratore di giustizia); e “Vita di Gesù”,  di Andrea Tornielli.

Il Papa raggiunge poi l’Aula Paolo VI per il tradizionale scambio di auguri ai dipendenti della Santa Sede e del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Il Papa augura ai suoi lavoratori “serenità, nel cuore, nei rapporti familiari, nel lavoro”, e invita tutti a essere “artigiani di pace. In questo momento della storia del mondo, siamo chiamati a sentire più forte la responsabilità di fare ciascuno la propria parte per costruire la pace. E questo ha un significato particolare per noi che viviamo e lavoriamo nella Città del Vaticano. Non perché questo piccolissimo Stato, il più piccolo del mondo, abbia un peso specifico speciale,; ma perché noi abbiamo come Capo e Maestro il Signore Gesù, il quale ci chiama ad unire il nostro umile impegno quotidiano alla sua opera di riconciliazione e di pace. A partire dall’ambiente in cui viviamo, dai rapporti con i nostri colleghi, da come affrontiamo le incomprensioni e i conflitti che possono nascere sul lavoro; oppure a casa, nell’ambito familiare; o anche con gli amici, o in parrocchia. È lì che noi possiamo essere concretamente testimoni e artigiani di pace”.

Ma come si semina la pace? Francesco dà una serie di suggerimenti: “Evitando di parlare male degli altri ‘dietro le spalle’. Se noi facessimo questo soltanto, saremmo creatori di pace dappertutto! Se c’è qualcosa che non va, parliamone direttamente con la persona interessata, con rispetto, con franchezza. Siamo coraggiosi. Non facciamo finta di niente per poi sparlare di lui o di lei con altre persone. Cerchiamo di essere sinceri e onesti. Facciamo la prova e vediamo che questo andrà bene”.

E conclude: “Porgo i migliori auguri a voi e ai vostri cari. Salutate da parte mia i vostri bambini e i vostri anziani a casa. Loro sono il tesoro nella famiglia, il tesoro della società. E vi ringrazio: vi ringrazio per tutto quello che fate qui dentro, per il vostro lavoro e anche per la vostra pazienza, a volte, perché so che ci sono situazioni nelle quali voi esercitate la pazienza: grazie per questo. Tutti noi dobbiamo andare avanti con pazienza, con gioia, ringraziando il Signore che ci dà questa grazia del lavoro, ma custodire il lavoro e anche farlo con dignità. Grazie di questo, grazie per questo che voi fate qui dentro. Senza di voi, tutto questo non andrebbe avanti. Grazie davvero!”. (foto © Vatican Media)

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