Urbi et Orbi, il grido del Papa: “Il mondo, zavorrato da potere e soldi, vive una carestia di pace”

25 dicembre 2022 | 12:18
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Urbi et Orbi, il grido del Papa: “Il mondo, zavorrato da potere e soldi, vive una carestia di pace”

Dalla loggia di San Pietro la benedizione di Natale “alla Città e al Mondo” segnata dal grido di dolore del Papa per il conflitto in Ucraina: “Bisogna far tacere le armi e porre fine subito a questa guerra insensata! Purtroppo, si preferisce ascoltare altre ragioni, dettate dalle logiche del mondo. Ma la voce del Bambino, chi l’ascolta?”

Città del Vaticano – Il sole che bacia il Cupolone, l’albero che svetta maestoso nel cielo azzurro accanto al presepe. La parata militare delle Guardia Svizzere in alta uniforme accompagnata dagli inni nazionali, la folla (70mila i presenti secondo la gendarmeria vaticana, in molti vestiti anche con cappelli rossi e pompon bianchi) che acclama e prega. Il rintocchi del campanone riecheggiano tra le colonne del Bernini. Sembra un Natale come un altro quello che si celebra in Vaticano. Eppure gli occhi e le parole di Papa Francesco, a dieci mesi dallo scoppio del conflitto in Ucraina, sono pieni di dolore e di rabbia.

Del resto, è proprio il tema della guerra a essere centrale nel tradizionale messaggio Urbi et Orbi, ovvero alla Città (di Roma) e al Mondo di Natale. Un Natale, quello odierno, segnato non solo dalla guerra che infuria alle porte dell’Europa. “Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero, buon Natale!”, esordisce il Papa, apparendo barcollante e col bastone sulla loggia, ricordando che Cristo nasce “nel silenzio e nell’oscurità della notte, perché il Verbo di Dio non ha bisogno di riflettori, né del clamore delle voci umane. Egli stesso è la Parola che dà senso all’esistenza, la luce che rischiara il cammino”.

Francesco invita tutti i credenti a vincere “il torpore del sonno spirituale e le false immagini della festa che fanno dimenticare chi è il festeggiato. Usciamo dal frastuono che anestetizza il cuore e ci induce a preparare addobbi e regali più che a contemplare l’Avvenimento: il Figlio di Dio nato per noi”. Ma Natale, come diceva San Leone Magno “è il Natale della pace”. Una pace, sottolinea il Pontefice, che si raggiunge camminando “dietro a Gesù”. Un percorso che se si vuole intraprendere, fa notare il Santo Padre, bisogna spogliarsi “dei pesi” e delle “zavorre” che ci tengono bloccati: “l’attaccamento al potere e al denaro, la superbia, l’ipocrisia, la menzogna”. Una critica ai potenti di oggi.

“E in effetti – aggiunge -, dobbiamo constatare con dolore che, mentre ci viene donato il Principe della pace, venti di guerra continuano a soffiare gelidi sull’umanità”. “Se vogliamo che sia Natale, il Natale di Gesù e della pace, guardiamo a Betlemme e fissiamo lo sguardo sul volto del Bambino che è nato per noi! E in quel piccolo viso innocente, riconosciamo quello dei bambini che in ogni parte del mondo anelano alla pace. Il nostro sguardo si riempia dei volti dei fratelli e delle sorelle ucraini – dice allungando la mano verso la piazza -, che vivono questo Natale al buio, al freddo o lontano dalle proprie case, a causa della distruzione causata da dieci mesi di guerra. Il Signore ci renda pronti a gesti concreti di solidarietà per aiutare quanti stanno soffrendo, e illumini le menti di chi ha il potere di far tacere le armi e porre fine subito a questa guerra insensata! Purtroppo, si preferisce ascoltare altre ragioni, dettate dalle logiche del mondo. Ma la voce del Bambino, chi l’ascolta?”.

“Il nostro tempo – tuona – sta vivendo una grave carestia di pace anche in altre regioni, in altri teatri di questa terza guerra mondiale”. E, come ci ha abituato negli ultimi dieci anni di benedizioni Urbi et Orbi, elenca tutti i Paese del globo dove infuria la guerra: “Pensiamo alla Siria, ancora martoriata da un conflitto che è passato in secondo piano ma non è finito; e pensiamo alla Terra Santa, dove nei mesi scorsi sono aumentate le violenze e gli scontri, con morti e feriti. Imploriamo il Signore perché là, nella terra che lo ha visto nascere, riprendano il dialogo e la ricerca della fiducia reciproca tra Israeliani e Palestinesi. Gesù Bambino sostenga le comunità cristiane che vivono in tutto il Medio Oriente, perché in ciascuno di quei Paesi si possa vivere la bellezza della convivenza fraterna tra persone appartenenti a diverse fedi”.

Nel pensiero del Papa c’è anche “il Libano, perché possa finalmente risollevarsi, con il sostegno della Comunità internazionale e con la forza della fratellanza e della solidarietà. La luce di Cristo illumini la regione del Sahel, dove la pacifica convivenza tra popoli e tradizioni è sconvolta da scontri e violenze. Orienti verso una tregua duratura nello Yemen e verso la riconciliazione nel Myanmar e in Iran, perché cessi ogni spargimento di sangue. Ispiri le autorità politiche e tutte le persone di buona volontà nel continente americano, ad adoperarsi per pacificare le tensioni politiche e sociali che interessano vari Paesi; penso in particolare alla popolazione haitiana che sta soffrendo da tanto tempo”.

Poi, un monito sugli sprechi: “In questo giorno, nel quale è bello ritrovarsi attorno alla tavola imbandita pensiamo alle persone che patiscono la fame, soprattutto bambini, mentre ogni giorno grandi quantità di alimenti vengono sprecate e si spendono risorse per le armi”. E, tornando con lo sguardo ai confini dell’Europa, ammonisce: “La guerra in Ucraina ha ulteriormente aggravato la situazione, lasciando intere popolazioni a rischio di carestia, specialmente in Afghanistan e nei Paesi del Corno d’Africa. Ogni guerra, lo sappiamo, provoca fame e sfrutta il cibo stesso come arma, impedendone la distribuzione a popolazioni già sofferenti. In questo giorno, imparando dal Principe della pace, impegniamoci tutti, per primi quanti hanno responsabilità politiche, perché il cibo sia solo strumento di pace”.

Francesco non dimentica le famiglie “che sono più ferite dalla vita, e a quelle che, in questo tempo di crisi economica, fanno fatica a causa della disoccupazione e mancano del necessario per vivere”. E in un mondo “malato di indifferenza, brutta malattia”, un nuovo appello all’accoglienza: Gesù non fu accolto, anzi fu respinto, “come accade a molti stranieri, o lo ignora, come troppo spesso facciamo noi con i poveri. Non dimentichiamoci oggi dei tanti profughi e rifugiati che bussano alle nostre porte in cerca di conforto, calore e cibo. Non dimentichiamoci degli emarginati, delle persone sole, degli orfani e degli anziani che rischiano di finire scartati, dei carcerati che guardiamo solo per i loro errori e non come esseri umani”.

“Lasciamoci commuovere dall’amore di Dio, e seguiamo Gesù, che si è spogliato della sua gloria per farci partecipi della sua pienezza. Buon Natale a tutti!”, conclude il Papa che, sedutosi sulla poltrona, prega l’Angelus prima di impartire la benedizione Urbi et Orbi. Il plenum delle campane sovrasta il suono delle trombe che suonano gli inni nazionali del Vaticano e dell’Italia come prevede il cerimoniale. E per un attimo sovrasta anche il suono delle bombe che continuano a piovere su tutta l’Ucraina. Anche a Natale (leggi qui).

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