“Troppi soldi in armi e democrazie che si affievoliscono”: le preoccupazioni del Papa

9 gennaio 2023 | 13:32
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“Troppi soldi in armi e democrazie che si affievoliscono”: le preoccupazioni del Papa

A preoccupare il Pontefice anche le persecuzioni religiose: “La libertà religiosa è messa in pericolo anche laddove i credenti vedono ridotta la possibilità di esprimere le proprie convinzioni nell’ambito della vita sociale, in nome di un malinteso concetto di inclusione”

Città del Vaticano – Democrazie che si affievoliscono, troppi soldi usati per acquistare armi invece che per l’istruzione e la ricerca. E ancora, cristiani perseguitati in molte parti del mondo, anche in posti dove non sono una minoranza. E’ il drammatico quadro che dipinge Papa Francesco, senza nasconderne le preoccupazioni, del pianeta all’inizio dell’anno. L’occasione è il tradizionale incontro con il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, svoltosi questa mattina nell’Aula delle Benedizioni, situata sopra il portico della basilica vaticana.

Ma il primo pensiero del Pontefice è per il suo predecessore: “A voi tutti e alle vostre Autorità desidero esprimere gratitudine anche per i messaggi di cordoglio inviati in occasione della morte del Papa emerito Benedetto XVI e per la vicinanza manifestata durante le esequie”.

Quindi il Papa inizia subito a tracciare quella che sarà la strada diplomatica della Santa Sede per il 2023. E tutto ruota attorno a una parola: pace. Bergoglio ricorda infatti che quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario dell’Enciclica Pacem in terris di S. Giovanni XXIII, pubblicata poco meno di due mesi prima della sua morte.

Negli occhi del “Papa buono”, spiega Francesco, “era ancora vivo il pericolo di una guerra nucleare, provocato nell’ottobre 1962 dalla cosiddetta crisi dei missili di Cuba. L’umanità era a un passo dal proprio annientamento, se non si fosse riusciti a far prevalere il dialogo, consapevoli degli effetti distruttivi delle armi atomiche. Purtroppo, ancora oggi la minaccia nucleare viene evocata, gettando il mondo nella paura e nell’angoscia. Non posso che ribadire in questa sede che il possesso di armi atomiche è immorale poiché – come osservava Giovanni XXIII – «se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico». Sotto la minaccia di armi nucleari siamo tutti sempre perdenti, tutti!”.

Da questo punto di vista, particolare preoccupazione desta lo stallo dei negoziati circa il riavvio del Piano d’azione congiunto globale, meglio noto come Accordo sul nucleare iraniano. Auspico che si possa arrivare al più presto ad una soluzione concreta per garantire un avvenire più sicuro.

Bergoglio rimarca poi il concetto di terza guerra mondiale a pezzi, che oggi avviene  in “un mondo globalizzato, dove i conflitti interessano direttamente solo alcune aree del pianeta, ma nella sostanza coinvolgono tutti. L’esempio più vicino e recente è proprio la guerra in Ucraina, con il suo strascico di morte e distruzione. Non dobbiamo dimenticare poi che la guerra colpisce particolarmente le persone più fragili – i bambini, gli anziani, i disabili ­– e lacera indelebilmente le famiglie. Non posso che rinnovare quest’oggi il mio appello a far cessare immediatamente questo conflitto insensato, i cui effetti interessano intere regioni, anche fuori dall’Europa a causa delle ripercussioni che esso ha in campo energetico e nell’ambito della produzione alimentare, soprattutto in Africa ed in Medio Oriente”.

Ma non c’è solo l’Ucraina nei pensieri del Papa: Francesco ricorda la Siria, e sottolinea come la Santa Sede “segue anche con preoccupazione l’aumento della violenza tra palestinesi e israeliani, con la conseguenza drammatica di molte vittime e di una totale sfiducia reciproca”. Quindi il suo pensiero volge all’Africa, dove sarà a fine mese come “pellegrino di pace” nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan, dove sarà accompagnato dall’Arcivescovo di Canterbury e dal Moderatore Generale della Chiesa Presbiteriana di Scozia: “Insieme desideriamo unirci al grido di pace della popolazione e contribuire al processo di riconciliazione nazionale”.

Le bombe però esplodono anche  nel Caucaso meridionale, nello Yemen, in Etiopia. E ancora: Burkina Faso, Mali, Nigeria Sudan, Mali, Ciad, Guinea. Ma anche Myanmar e penisola coreana: “Tutti i conflitti pongono comunque in rilevo le conseguenze letali di un continuo ricorso alla produzione di nuovi e sempre più sofisticati armamenti, talvolta giustificata ‘adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze’. Occorre scardinare tale logica e procedere sulla via di un disarmo integrale, poiché nessuna pace è possibile laddove dilagano strumenti di morte”.

“In un tempo così conflittuale, non possiamo eludere la domanda su come si possa ritessere i fili della pace. Da dove ripartire?”, si domanda il Papa, che per rispondere riprende alcuni elementi della Pacem in terris, un testo che lo stesso Bergoglio definisce “estremamente attuale pur essendo mutato gran parte del contesto internazionale”. Quattro i beni fondamentali: “la verità, la giustizia, la solidarietà e la libertà” alla quale il Santo Padre aggiunge la parola pace subito prima.

E spiega: “Costruire la pace nella verità, significa anzitutto rispettare la persona umana, con il suo ‘diritto all’esistenza e all’integrità fisica’, alla quale va garantita la ‘libertà nella ricerca del vero, nella manifestazione del pensiero e nella sua diffusione'”. Implicitamente critica la situazione delle donne in Iran: “Ancor oggi, in molti Paesi, le donne sono considerate come cittadini di seconda classe. Sono oggetto di violenze e di abusi e viene loro negata la possibilità di studiare, di lavorare, di esprimere i propri talenti, l’accesso alle cure sanitarie e persino al cibo. Invece, ove i diritti umani sono riconosciuti pienamente per tutti, le donne possono offrire il proprio contributo insostituibile alla vita sociale ed essere prime alleate della pace”.

Quindi una nuova condanna dell’aborto: “La pace esige anzitutto che si difenda la vita, un bene che oggi è messo a repentaglio non solo da conflitti, fame e malattie, ma fin troppo spesso addirittura dal grembo materno, affermando un presunto ‘diritto all’aborto’. Nessuno può vantare però diritti sulla vita di un altro essere umano, specialmente se è inerme e dunque privo di ogni possibilità di difesa”. Poi un’altra critica all’Iran, questa volta esplicita: “Il diritto alla vita è minacciato anche laddove si continua a praticare la pena di morte, come sta accadendo in questi giorni in Iran, in seguito alle recenti manifestazioni, che chiedono maggiore rispetto per la dignità delle donne. La pena di morte non può essere utilizzata per una presunta giustizia di Stato, poiché essa non costituisce un deterrente, né offre giustizia alle vittime, ma alimenta solamente la sete di vendetta. Faccio, perciò, appello perché la pena di morte, che è sempre inammissibile poiché attenta all’inviolabilità e alla dignità della persona, sia abolita nelle legislazioni di tutti i Paesi del mondo. Non possiamo dimenticare che fino all’ultimo momento, una persona può convertirsi e può cambiare”.

Il Papa si rivolge poi agli italiani: “Purtroppo, appare emergere sempre più una ‘paura’ della vita, che si traduce in molti luoghi nel timore dell’avvenire e nella difficoltà a formare una famiglia e mettere al mondo dei figli. In alcuni contesti, penso ad esempio all’Italia, è in atto un pericoloso calo della natalità, un vero e proprio inverno demografico, che mette in pericolo il futuro stesso della società. Al caro popolo italiano, desidero rinnovare il mio incoraggiamento ad affrontare con tenacia e speranza le sfide del tempo presente, forte delle proprie radici religiose e culturali”.

Ma la pace, sottolinea il Papa, “esige anche che sia riconosciuta universalmente la libertà religiosa. È preoccupante che ci siano persone che vengono perseguitate solo perché professano pubblicamente la loro fede e sono molti i Paesi in cui la libertà religiosa è limitata. Non posso non menzionare, come alcune statistiche dimostrano, che un cristiano ogni sette viene perseguitato”.

Nello stesso tempo, è bene non dimenticare che la violenza e le discriminazioni contro i cristiani aumentano anche in Paesi dove questi non sono una minoranza. La libertà religiosa è messa in pericolo anche laddove i credenti vedono ridotta la possibilità di esprimere le proprie convinzioni nell’ambito della vita sociale, in nome di un malinteso concetto di inclusione. La libertà religiosa, che non può ridursi alla mera libertà di culto, è uno dei requisiti minimi necessari per vivere in modo dignitoso e i governi hanno il dovere di proteggerla e di garantire a ogni persona, compatibilmente con il bene comune, l’opportunità di agire secondo la propria coscienza anche nell’ambito della vita pubblica e nell’esercizio della propria professione.

Costruire la pace, prosegue poi il Papa nel suo lungo intervento, “esige che sia perseguita la giustizia”. Francesco denuncia poi come “risorse sempre maggiori sono state impiegate per imporre, specialmente nei confronti dei Paesi più poveri, forme di colonizzazione ideologica, creando peraltro un nesso diretto fra l’elargizione di aiuti economici e l’accettazione di tali ideologie. Ciò ha affaticato il dibattito interno alle Organizzazioni internazionali, precludendo scambi fruttuosi e aprendo spesso alla tentazione di affrontare le questioni in modo autonomo e, conseguentemente, sulla base di rapporti di forza”.

Non può però esserci pace senza solidarietà. E Bergoglio sottolinea quelli che, a suo dire, sono i tre ambiti in cui oggi il mondo deve essere più solidale: “Il primo è quello delle migrazioni, che interessa intere regioni della Terra”. E, rivolgendosi all’Europa, tuona: “E’ urgente rafforzare la cornice normativa, attraverso l’approvazione del Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo, perché si possano implementare adeguate politiche per accogliere, accompagnare, promuovere e integrare i migranti. Nello stesso tempo, la solidarietà esige che le doverose operazioni di assistenza e cura dei naufraghi non gravino interamente sulle popolazioni dei principali punti d’approdo”. Il secondo ambito riguarda l’economia e il lavoro, il terzo, invece la cura della nostra casa comune.

Infine, costruire la pace “esige che non via sia posto per ‘la lesione della libertà, dell’integrità e della sicurezza di altre nazioni, qualunque sia la loro estensione territoriale o la loro capacità di difesa’”. E all’indomani dell’assalto al Parlamento brasiliano, il Papa si dice preoccupato “dall’affievolirsi, in molte parti del mondo, della democrazia e della possibilità di libertà che essa consente, pur con tutti i limiti di un sistema umano. Ne fanno tante volte le spese le donne o le minoranze etniche, nonché gli equilibri di intere società in cui il disagio sfocia in tensioni sociali e persino in scontri armati”.

In molte aree, un segno di affievolimento della democrazia è dato dalle crescenti polarizzazioni politiche e sociali, che non aiutano a risolvere i problemi urgenti dei cittadini. Occorre sempre superare le logiche di parte e adoperarsi per l’edificazione del bene comune.

“Sarebbe bello che una volta ci potessimo ritrovare solamente per ringraziare il Signore Onnipotente per i benefici che sempre ci concede, senza essere costretti ad elencare le situazioni drammatiche che affliggono l’umanità”, l’auspicio del Papa, che congeda con le parole di Giovanni XXIII gli ambasciatori: “È lecito tuttavia sperare che gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che li legano, provenienti dalla loro comune umanità e abbiano pure a scoprire che una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra essi e tra i rispettivi popoli regni non il timore, ma l’amore: il quale tende ad esprimersi nella collaborazione leale, multiforme, apportatrice di molti beni”. (Foto © Vatican Media)

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