Concessioni balneari, l’Ue annuncia battaglie legali contro l’Italia per la proroga al 2024
La Commissione Europea non starà con le mani in mano, dopo che con il decreto Milleproroghe le concessioni balneari in essere in Italia sono state prorogate fino alla fine del 2024
Bruxelles – La Commissione Europea non starà con le mani in mano, dopo che con il decreto Milleproroghe le concessioni balneari in essere in Italia sono state prorogate fino alla fine del 2024. Il minimo che ci si può aspettare è un’altra lettera, nell’ambito della procedura di infrazione avviata nel dicembre 2020 con una lettera di messa in mora. Quella lettera venne seguita dall’impegno formale, preso dal governo, di mettere le concessioni a gara entro la fine del 2023, ragion per cui la procedura non è passata allo stadio successivo, il parere motivato.
Ora, con il passo indietro fatto con la proroga a fine 2024, probabilmente partirà una seconda lettera, che potrebbe essere una lettera aggiuntiva di messa in mora o un parere motivato (la forma deve ancora essere decisa). La procedura era stata ‘stoppata’ grazie agli impegni presi dall’Italia, che l’avrebbero portata in linea con il rispetto delle norme Ue, ma ora questo arretramento cambia le cose, dunque la Commissione potrebbe continuare con la procedura, che è particolarmente fondata perché c’è già una sentenza della Corte di Giustizia Ue, che nel 2016 ha stabilito che la prassi seguita dall’Italia di prorogare automaticamente le concessioni in essere è incompatibile con il diritto comunitario.
La Commissione potrebbe quindi decidere di continuare la procedura, mandando a Roma il chiaro segnale che la questione va risolta, anche perché l’Italia continua a non applicare la sentenza della Corte di Giustizia. Nel 2020 la Commissione aveva sottolineato che la legislazione italiana, che prorogava le concessioni fino al 2033 e vietava alle autorità locali di avviare delle gare pubbliche sulle concessioni in scadenza, violava il diritto Ue, creando incertezza giuridica nel settore dei servizi turistici e scoraggiando investimenti in un settore cruciale per l’economia del Paese, causando oltretutto una “significativa perdita di introiti” per lo Stato italiano.
La procedura di infrazione Ue ha diverse fasi: se il Paese, dopo la lettera di messa in mora e il parere motivato, continua a non conformarsi alla legislazione, la Commissione può decidere di deferirlo alla Corte di Giustizia, anche se la maggior parte dei casi viene risolta prima. Se la Corte stabilisce che il Paese in questione ha violato il diritto dell’Unione, le autorità nazionali devono adottare misure per conformarsi alle disposizioni della sentenza della Corte.
In questo caso, però, la Corte ha già stabilito che l’Italia viola il diritto Ue, dunque in teoria, se volesse, la Commissione potrebbe trascinare Roma direttamente in Corte, poiché le norme prevedono che se, nonostante la sentenza della Corte di Giustizia, il Paese continua a non rettificare la situazione, la Commissione può deferirlo alla Corte.
Quando un Paese viene deferito alla Corte di giustizia per la seconda volta, in genere vengono comminate sanzioni pecuniarie, che possono consistere in una somma forfettaria e/o in pagamenti giornalieri. Il calcolo delle somme dovute tiene conto di vari elementi, tra cui l’importanza delle norme violate, gli effetti della violazione sugli interessi generali e particolari, il periodo in cui il diritto dell’Unione non è stato applicato e la capacità del Paese di pagare. Le sanzioni mirano ad avere un effetto deterrente: quelle giornaliere continuano ad essere pagate finché il Paese non si mette in regola. (fonte Adnkronos)