Il Fatto

L’ombra della mafia sulle attività commerciale di Anzio e Nettuno: denunciata 45enne

26 giugno 2023 | 13:17
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L’ombra della mafia sulle attività commerciale di Anzio e Nettuno: denunciata 45enne

La donna stava continuando ad esercitare l’attività nonostante un provvedimento inibitorio

Anzio – Nelle scorse ore, i Carabinieri della Compagnia di Anzio hanno eseguito un controllo presso un forno/panificio in località Lavinio – Lido di Enea che ha portato alla denuncia a piede libero di una 45enne per l’inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità (art. 650 C.P.).

La donna è la moglie del socio amministratore dell’attività, un 54enne originario della provincia di Reggio Calabria, arrestato lo scorso 17 febbraio 2022 nell’ambito dell’operazione “Tritone”, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Roma e condotta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Roma, e attualmente detenuto in carcere per reati di associazione di tipo mafioso.

La donna stava continuando ad esercitare l’attività nonostante un provvedimento inibitorio, adottato dalla Commissione Straordinaria del Comune, per l’esercizio delle attività sulla base degli elementi risultanti dalle interdittive antimafia della Prefettura di Roma dello scorso 1° giugno 2023.

Tale provvedimento che ha colpito anche altre due attività commerciali – un bar a Nettuno e una pizzeria ad Anzio – ha dichiarato la S.C.I.A. (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) giuridicamente inefficace, sulla base della ritenuta permeabilità agli interessi della criminalità organizzata, grazie alle acquisizioni dell’indagine “Tritone” che portò all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. presso il Tribunale nei confronti di 65 persone (39 in carcere e 26 agli arresti domiciliari) gravemente indiziate, a vario titolo, di associazione mafiosa (art. 416bis c.p.), associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti aggravata dal metodo mafioso (art. 74 D.P.R. 309/90 e 416 bis 1 c.p.), cessione e detenzione ai fini di spaccio (art. 73 D.P.R. 309/90), estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco (artt. 110, 629 c.p. e 2 e 7 L. 895/67 e 416bis 1 c.p.), fittizia intestazione di beni (artt. 110, 512bis, 416bis 1 c.p.) e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti aggravato dal metodo mafioso (artt. 110, 452 quater decies e 416bis 1 c.p.). Gli arresti portarono alla disarticolazione di una locale di ‘ndrangheta operante nei territori compresi tra Anzio e Nettuno.

Per dovere di cronaca, e a tutela di chi è indagato, ricordiamo che un’accusa non equivale a una condanna, che le prove si formano in Tribunale e che l’ordinamento giudiziario italiano prevede comunque tre gradi di giudizio.

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