13 luglio, il Santo del giorno: Sant’Enrico, imperatore

13 luglio 2023 | 06:01
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13 luglio, il Santo del giorno: Sant’Enrico, imperatore

Sant’Enrico, che imperatore dei Romani, si adoperò insieme alla moglie santa Cunegonda per rinnovare la vita della Chiesa e propagare la fede di Cristo in tutta l’Europa; mosso da zelo missionario, istituì molte sedi episcopali e fondò monasteri

Oggi, 13 luglio, la Chiesa cattolica festeggia Sant’Enrico, imperatore. Il Martirologio Romano dice di lui: Sant’Enrico, che imperatore dei Romani, si adoperò insieme alla moglie santa Cunegonda per rinnovare la vita della Chiesa e propagare la fede di Cristo in tutta l’Europa; mosso da zelo missionario, istituì molte sedi episcopali e fondò monasteri. A Grona vicino a Göttingen in Germania lasciò in questo giorno la vita.

Ultimo esponente della dinastia degli Ottoni, nel 995, divenne duca di Baviera con il nome di Enrico IV di Baviera. Fu anche duca di Carinzia come Enrico III. Anche sua moglie, Cunegonda, rientra nel novero dei santi della Chiesa cattolica.

Enrico nacque il 6 maggio del 973, figlio di Enrico II, duca di Baviera e di Gisella di Borgogna. Tramite suo padre, era nipote di Enrico I, duca di Baviera, e pronipote del re Enrico I di Germania. Per sua madre, era nipote del re Corrado III di Borgogna e pronipote del re Rodolfo II di Borgogna.

Il padre nel 974 si ribellò al cugino e imperatore del Sacro Romano Impero Ottone II. I due erano in conflitto per le reciproche rivendicazioni sul ducato di Svevia: Enrico rivendicò il ducato come suo diritto di nascita mentre Ottone II rivendicò il diritto imperiale di nominare un duca di sua scelta. Dopo la fallimentare rivolta, Ottone II imprigionò l’anziano Enrico ad Ingelheim. Dopo essere fuggito, Enrico si ribellò di nuovo contro Ottone II. Quando questa seconda rivolta fallì, Ottone II depose Enrico dal titolo di duca di Baviera e lo mandò in esilio sotto la custodia del vescovo di Utrecht nell’aprile del 978. Come conseguenza della sua rivolta, l’imperatore divise dal ducato di Baviera il ducato di Carinzia.

Durante l’esilio di suo padre, il giovane Enrico visse a Hildesheim. Da bambino fu educato, assieme al fratello Bruno, nella fede cristiana da san Volfango, vescovo di Ratisbona, e poi studiò nella cattedrale di Hildesheim. Lo stesso imperatore si assicurò che Enrico ricevesse un’educazione ecclesiastica per renderlo un ecclesiastico e impedirgli di partecipare al governo imperiale.

La morte di Ottone II del 983 permise al padre di essere rilasciato dalla custodia e di tornare dall’esilio. Egli rivendicò la reggenza di Ottone III, il bambino di tre anni di Ottone II. Dopo aver tentato di usurpare il trono di Germania nel 985, il padre cedette il governo alla madre del bambino, Teofano. In cambio della sua sottomissione al re, il padre fu restaurato come duca di Baviera. Il giovane Enrico, che in quel momento aveva tredici anni, fu nominato reggente sulla Baviera. Quando il padre morì nel 995, il giovane Enrico fu eletto dai nobili bavaresi come nuovo duca per succedere a suo padre.

Nel 999 Enrico sposò Cunegonda di Lussemburgo, figlia di Sigfrido, conte di Lussemburgo. Questo matrimonio gli assicurò una vasta rete di contatti nei territori occidentali della Germania.

Il 23 gennaio 1002 morì il cugino di secondo grado Ottone III. Non era prassi all’epoca che vi fossero diritti al trono per gli appartenenti alle linee collaterali della famiglia regia, quindi la successione non fu immediata. La via per la sua successione venne aperta quando Ottone di Worms, nipote di Ottone I, rifiutò la corona; Enrico II trovò sostegno per la sua successione in Sassonia, desiderosa di vedere un uomo della propria stirpe continuare a sedere sul trono; egli inoltre era sostenuto da Sofia e Adelaide, sorelle del defunto Ottone III. Anche Ottone di Worms finì per appoggiarlo.

La sua ascesa la trono venne contrastata dal margravio di Meißen Eccardo, sostenuto dal suocero e duca di Sassonia Bernardo, dal vescovo di Halberstadt Arnolfo, dal vescovo di Hildesheim Bernward e altri grandi di Germania. La fazione di Eccardo fecero saltare l’assemblea tra i grandi a Werla occupando, durante il banchetto, i posti delle sorelle di Ottone III. Eccardo poi abbandonò l’assemblea per andare a Hildesheim, facendosi accogliere come un re. Egli in ogni caso venne ucciso il 23 aprile 1002 a Pöhlde a causa di un complotto ordito dai figli del conte di Northeim Sigfrido mentre si stava recando in Lotaringia ove si sarebbe deciso il successore di Ottone III dopo la sua sepoltura a Pasqua ad Aquisgrana.

Enrico vincolò quindi la sua successione sul diritto ereditario, ma essa era flebile essendo solo un cugino: egli quindi fece dei gesti tali da consolidare la sua precaria posizione. Egli attese il corpo di Ottone III nel monastero di Polling, per poi accompagnarlo ad Aquisgrana mentre questo attraversava il suo ducato. Ciò lo fece in qualità di duca, ma inoltre Enrico fece seppellire le viscere del cugino ad Augusta, nel monastero di Santa Afra e fece una ingente donazione in favore dell’anima del cugino; inoltre portava sulle spalle il feretro all’entrata di ogni città in cui il corpo era portato.

Un altro gesto per rafforzare le proprie pretese fu quando costrinse l’arcivescovo di Colonia Eriberto a consegnarli le insegne imperiali; questo però tenne nascosta la Sacra Lancia a Colonia e venne tenuto prigioniero fino a quando non giurò di cederla a Enrico, tenendo in ogni caso il vescovo di Würzburg e fratello dell’arcivescovo Eriberto come ostaggio a garanzia dell’adempimento del giuramento. L’arcivescovo in ogni caso rifiutò di rendere omaggio a Enrico fino a che la sua posizione non fosse stata legittimata da un’assemblea dei grandi, a cui Eriberto si sarebbe adeguato alla sua decisione, fosse stata favorevole a Enrico o meno.

Ad Aquisgrana, i grandi di Germania pensarono di elevare sul trono il duca di Svevia Ermanno II, ma Enrico, inimicandosi l’arcivescovo di Colonia Eriberto, si era guadagnato il favore dell’arcivescovo di Magonza Willigis, il cui ruolo nel regno era di incoronare i re di Germania (e Willigis stesso aveva incoronato Ottone III): egli quindi incoronò Enrico nel duomo di Magonza il 6 giugno 1002, dopo che Ermanno II aveva tentato di impedire al futuro re Enrico di attraversare il Reno.

Una volta divenuto re, attaccò e saccheggiò il ducato di Svevia, ducato del rivale Ermanno II. Egli quindi contrattaccò, assediando Strasburgo assieme al genero Corrado, figlio di Ottone di Worms, difesa dal suo vescovo Werner. Strasburgo venne presa, e gli svevi, senza nessun ordine del duca, saccheggiarono e incendiarono la chiesa della città. Ermanno, per non perdere il ducato in caso di sconfitta, evitò di scontrarsi con il re direttamente, attaccando invece i suoi alleati nel suo ducato[9]. Mentre il re era sull’isola di Reichenau per la natività di San Giovanni Battista, ricevette la sfida ad un duello (interpretabile sia come un duello individuale sia nel senso, come ha fatto notare Giesebrecht, di ingaggiare battaglia con un esercito, sulla base del fatto che Tietmaro usa il termine duellum anche in VII, 45 (62) per riferirsi inequivocabilmente ad una battaglia campale) da parte di Ermanno; egli però cambiò poi idea, preferendo forse non attaccare direttamente il re.

La campagna in Svevia si stava prolungando e Enrico decise di farsi approvare (e non eleggere) il titolo di re a Merseburgo dai grandi del regno[Riferimenti 2]: egli venne accolto dall’abate di San Giovanni Aimone e dal conte della città Ezicone; qua il duca Bernardo, prima sostenitore di Ermanno, il 25 luglio e su delega dei presenti, approvò che la carica regia fosse presieduta da Enrico; Bernardo quindi diede, durante una cerimonia, la sacra lancia a Enrico, allo scopo di rappresentare che i grandi approvavano la sua elevazione al trono; questi quindi giurarono fedeltà e supporto armato a Enrico porgendo le mani unite al sovrano, con l’eccezione di Liutgero.

Il neo re si diresse nella Lotaringia, verso Corbie, dove si riunì con la moglie Cunegonda, accolti dall’abate Titmaro e assieme si diresse a Paderborn, dove anche Cunegonda venne elevata a regina il 10 agosto, giorno di San Lorenzo Martire e anniversario della battaglia di Lechfeld. A Duisburg attese i vescovi di Lotaringia di Liegi e Cambrai, a cui di aggiunse l’arcivescovo Eriberto, che arrivò in ritardo, essendo questo stato rapito dal neo re poco tempo prima, e qui lo accettarono come re, scortandolo quindi fino ad Aquisgrana dove venne elevato anche dagli altri grandi di Lotaringia l’8 settembre, giorno della natività di Maria. Questo atto sancì definitivamente la nuova posizione di Enrico, confermato poi dalla sottomissione del duca Ermanno il 1 ottobre: egli fu riconfermato nel suo ducato ed espiò il suo peccato di aver bruciato la chiesa di Strasburgo donando alla diocesi una sua proprietà e restaurando l’abbazia di Santo Stefano, situata nella città.

La pratica della cavalcata attraverso il regno (in tedesco Umritt) era una novità rispetto ai predecessori ottoniani: essi infatti rimanevano in Franconia, Sassonia e Bassa Lotaringia, andando in Svevia e Baviera solo in occasione delle spedizioni militari, specie per le spedizioni in Italia. Enrico II invece visitava i ducati regolarmente, e sotto il suo regno sono documentati le prime diete provinciali; Enrico II infatti, per quanto fosse riuscito a far valere le sue ragioni ereditarie, fu costretto a farsi validare la sua elevazione al trono, essendo stato solo un duca, dalle varie regioni del suo regno, La scelta del viaggio imperiale perenne si rifletté sui diplomi, redatti in loco e non più nei palazzi in cui abitualmente risiedevano gli imperatori sassoni.

Anche la pratica di governo cambiò: se gli Ottoni praticavano una governance incentrata sulla relazione tra il re e la famiglia, quindi una politica basata sull’insediamento nei punti chiave del regno dei propri familiari di sangue o acquisiti, con Enrico II, che possedeva una mentalità “ducale”, la pratica di governo cambiò: egli aveva pochi familiari stretti (che comunque insediò in posizioni privilegiate; diede anche incarichi di prestigio a famiglie bavaresi appartenenti al suo ducato) e basò la propria azione conferendo titoli ducali o immettendo nella cappella regia non più i membri della vecchia aristocrazia ducale, ma dei membri delle famiglie comitali di secondo piano, minando in questo modo l’autorità ducale ivi presente; inoltre i duchi persero lo status di uomini più importanti del regno, essendo ormai il potere nelle mani delle più potenti famiglie comitali; egli si presentò in ogni caso come poco più di un duca e rafforzò il ruolo vescovile nel regno (in ventidue anni di regno, elevò alla soglia vescovile almeno quarantadue vescovi); inoltre ebbe maggiormente la propensione a insediare come vescovi i membri della sua cappella regia.

Enrico si dedicò fondamentalmente a risolvere i problemi della Germania, poiché fin dalla sua elezione gli equilibri di potere tra i vassalli si erano di nuovo spezzati, soprattutto a seguito dell’orientamento prevalentemente italiano nella politica dei suoi predecessori. Negli anni del suo regno dovette così combattere a lungo contro vari signori ribelli, come Baldovino di Fiandra (ribellatosi tra la fine del 1006 e il 1007), Federico conte di Lussemburgo, Enrico V duca di Baviera e suo cognato e il vescovo di Metz Teodorico II (ribellatosi assieme al fratello Enrico sempre nel 1009), sempre cognato del re. Nel 1003 il neo-re dovette affrontare la rivolta di Enrico di Schweinfurt, offeso dal fatto che non aveva ricevuto dal suo sovrano il ducato di Baviera; egli fu appoggiato da Boleslao I di Polonia e Boleslao III “il Rosso” di Boemia ed ebbe l’appoggio dello stesso fratello del sovrano, Bruno, vescovo di Augusta; questa rivolta fu tuttavia schiacciata in breve tempo.

Per definire la situazione lungo i confini orientali non esitò ad allearsi con le tribù slave, ancora pagane come i Liutici nel 1003, contro il duca/re cristiano Boleslao, atto rinfacciato dai contemporanei, e lo stesso Titmaro non ebbe buona opinione di questo popolo, ma la guerra poco gli valse perché nello scontro perse la marca di Lusazia. Boleslao, nominato re da Ottone III, voleva che il suo titolo fosse riconosciuto dal nuovo re Enrico II e che il magraviato di Meissen fosse a lui affidato in cambio del suo appoggio per la successione al trono,che era rimasto vacante dalla morte di Eccardo durante le lotte per il trono, in modo da poter entrare così ufficialmente nella rete imperiale, avendo già contatti anche dinastici con la famiglia dei margravi di Meißen e avendo la stima della dinastia dei Billunghi, duchi di Sassonia. Enrico II cambiò nettamente l’orientamento politico dell’impero verso gli slavi, passando quindi oltre il congresso di Gniezno.

Le spedizioni contro Boleslao occupano la maggior parte delle pagine della Cronaca di Titmaro, e la definizione dei confini orientali e dello status di Boleslao sono centrali per il vescovo di Merseburgo, suo confinante.

Molto religioso e convinto assertore delle responsabilità dell’Imperatore nei confronti della fede e della prosperità dei suoi sudditi, Enrico esercitò sulla Chiesa e sui monasteri tedeschi un forte controllo, inteso in primo luogo a promuovere una riforma morale dei costumi nello spirito dell’ordine cluniacense, e a livello politico per renderli un contrappeso valido e sostanziale rispetto al potere e all’ingerenza dell’aristocrazia laica, così come era già stato fatto da Ottone I. Nel 1013 prende sotto la propria protezione l’abbazia benedettina di Sansepolcro, nell’Alta Valle del Tevere, di cui, in alcuni privilegi degli anni successivi, si dirà fondatore

La sua morte, il 13 luglio 1024, fu accompagnata in Italia da sommosse di popolo e dall’incendio del palazzo imperiale di Pavia, mentre in Germania da un’incredibile assenza di conflitti intestini tra i principi, segno di una politica interna che alla lunga aveva dato i suoi frutti. Si organizzò un’assemblea elettiva (da Enrico nel 1002 ostacolata) in cui gli succedette Corrado II il Salico, iniziatore della dinastia di Franconia (ma legato a lui da rapporti di parentela: Corrado era figlio di Enrico di Spira, figlio a sua volta di Ottone di Worms, figlio di Corrado il Rosso e di Liutgarda, figlia a sua volta di Ottone I e quindi, oltre che bisnonna di Corrado II, cugina di Enrico II).

La tomba di Enrico, in cui giace assieme alla moglie Cunegonda, capolavoro marmoreo di Tilman Riemenschneider, è custodita nel duomo di Bamberga.

Enrico II venne canonizzato nel 1146 da papa Eugenio III quale Imperatore devoto, non a caso in un periodo di grande incertezza del potere imperiale e papale, con la città di Roma elevata a Libero Comune e le predicazioni pauperiste di Arnaldo da Brescia che scuotevano gli animi. La Chiesa cattolica il 12 luglio ricorda anche:

Sant’Esdra, sacerdote e scriba. Commemorazione di sant’Esdra, sacerdote e scriba, che, al tempo del re persiano Artaserse, tornato da Babilonia in Giudea, radunò il popolo disperso e si adoperò con grande impegno per studiare, mettere in pratica e insegnare la legge del Signore in Israele.

San Sila. Commemorazione di san Sila, che, destinato dagli Apostoli alle Chiese dei gentili insieme ai santi Paolo e Barnaba, pervaso della grazia di Dio, svolse senza sosta il suo ministero.

San Serapione, martire. Ad Alessandria d’Egitto, san Serapione, martire, che sotto l’imperatore Settimio Severo e il governatore Aquila ottenne sul rogo la corona del martirio.

Santa Mirópe, martire. Nell’isola di Chio nel mare Egeo, santa Mirópe, martire.

Santi Alessandro e trenta soldati, martiri. A Filomelio in Frigia, nell’odierna Turchia, santi Alessandro e trenta soldati, martiri, che si dice abbiano subito il martirio sotto Magno prefetto di Antiochia di Pisidia.

Sant’Eugenio, vescovo di Cartagine. Ad Albi in Aquitania, in Francia, transito di sant’Eugenio, vescovo di Cartagine, che, insigne per fede e virtù, fu mandato in esilio durante la persecuzione dei Vandali.

San Turiavo, abate. In Bretagna, san Turiavo, abate del monastero di Dol e vescovo.

Sant’Emanuele Lê Van Phung, martire. Nella città di Châu Doc in Cocincina, ora Viet Nam, sant’Emanuele Lê Van Phung, martire, che padre di famiglia, sebbene detenuto in carcere, non cessò di esortare figli e familiari alla carità verso i persecutori e morì infine decapitato per ordine dell’imperatore Tu Duc.

Santa Clelia Barbieri, vergine. A Budrie in Romagna, santa Clelia Barbieri, vergine, che si adoperò per il bene spirituale della gioventù femminile e fondò la Congregazione delle Minime della Vergine Addolorata per la formazione umana e cristiana specialmente delle ragazze povere e bisognose.

San Paolo Liu Jinde, martire. Nel territorio di Langziqiao presso Hengshui nella provincia dello Hebei in Cina, san Paolo Liu Jinde, martire, che, di età ormai avanzata, durante la persecuzione dei Boxer era rimasto l’unico cristiano nel villaggio; fattosi allora incontro ai suoi persecutori con in mano il rosario e il libro delle preghiere, li salutò secondo l’uso cristiano e fu per questo da loro ucciso sul posto.

San Giuseppe Wang Guiji, martire. Nella città di Nangong sempre nello Hebei, san Giuseppe Wang Guiji, martire, che nella medesima persecuzione, rigettata la tentazione di avere salva la vita con una lieve menzogna, preferì la morte gloriosa per Cristo.

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