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“Passino le nuvole della guerra, diamoci da fare per costruire un avvenire di pace”

2 settembre 2023 | 10:55
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“Passino le nuvole della guerra, diamoci da fare per costruire un avvenire di pace”

Dalla Mongolia il Pontefice volge il pensiero alle nazioni in guerra e nell’incontro con le autorità civili lancia un appello affinché “le nuvole oscure della guerra vengano spazzate via dalla volontà ferma di una fraternità universale in cui le tensioni siano risolte sulla base dell’incontro e del dialogo”

Ulaanbaatar – “Le nuvole passano, il cielo resta”, dice un proverbio mongolo. E allora “passino le nuvole oscure della guerra, vengano spazzate via dalla volontà ferma di una fraternità universale in cui le tensioni siano risolte sulla base dell’incontro e del dialogo, e a tutti vengano garantiti i diritti fondamentali!”.

Entra nel vivo con un forte e accorato appello alla pace il Viaggio Apostolico di Papa Francesco in Mongolia, il 43mo del Pontefice argentino all’estero. Dopo la giornata di pausa per riprendersi da lungo volo (9 ore) e dal jet lag (6 ore indietro), mentre in Italia era ancora notte fonde, il Santo Padre celebra prima la messa in privato, poi, in auto, raggiunge piazza Sükhbaatar per la Cerimonia di benvenuto in Mongolia.

Al Suo arrivo il Papa viene accolto dal presidente della Mongolia, Ukhnaagiin Khürelsükh. Segue la Guardia d’Onore, l’esecuzione degli inni e l’Onore alle Bandiere. Quindi la presentazione delle rispettive Delegazioni. I due capi di stato raggiungono il il Palazzo di Stato e si dirigono poi all’esterno per gli onori alla statua di Chinggis Khaan. Quindi si recano nella Gran Ger dove alle ore 9.30 (03.30 ora di Roma) ha luogo, come di consuetudine per tutti i Viaggi Apostolici, la Firma del Libro d’Onore, dove scrive: “Pellegrino di pace in questo Paese giovane e antico, moderno e ricco di tradizione, sono onorato di percorrere le vie dell’incontro e dell’amicizia, che generano speranza. Il grande cielo terso, che abbraccia la terra mongola, rischiari nuovi sentieri di fraternità”

Poi l’incontro privato cui fa seguito la presentazione della famiglia del Presidente e lo scambio dei doni. Quindi il Santo Padre e il Presidente si recano nella Sala Ikh Mongol per l’incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico. Nella grande sala sono presenti all’incontro circa 700 persone tra Autorità politiche e religiose, Membri del Corpo Diplomatico, Imprenditori e Rappresentanti della Società civile e della cultura.

“Sono onorato di essere qui, felice di aver viaggiato verso questa terra affascinante e vasta, verso questo popolo che ben conosce il significato e il valore del cammino”, esordisce il Papa nel suo discorso, dove si definisce un “pellegrino di amicizia, giunto a voi in punta di piedi e con il cuore lieto, desideroso di arricchirmi umanamente alla vostra presenza”.

Come sempre in occasione del discorso alle Autorità, Bergoglio prende spunto da un elemento tradizionale e lo usa come filo conduttore di tutto l’intervento. In questo caso è la ger, dimora tradizionale degli abitanti della steppa. “Quando si entra in casa di amici, è bello scambiarsi dei doni, accompagnandoli con parole che evocano le precedenti occasioni di incontro”, afferma il Pontefice, aggiungendo: “E se le moderne relazioni diplomatiche tra la Mongolia e la Santa Sede sono recenti (quest’anno ricorre il 30° anniversario della firma di una lettera per rafforzare i rapporti bilaterali, ndr.), ben più indietro nel tempo, esattamente 777 anni fa, proprio tra la fine di agosto e l’inizio di settembre del 1246, f Giovanni di Pian del Carpine, inviato papale, visitò Guyug, il terzo imperatore mongolo, e presentò al Gran Khan la lettera ufficiale di Papa Innocenzo IV”.

Poco dopo fu redatta e tradotta in varie lingue la lettera di risposta, timbrata con il sigillo del Gran Khan in caratteri mongoli tradizionali. Essa è conservata nella Biblioteca Vaticana “e oggi – annuncia Francesco – ho l’onore di porgervene una copia autenticata, eseguita con le tecniche più avanzate per garantirne la migliore qualità possibile. Possa essere segno di un’amicizia antica che cresce e si rinnova”.

Ho saputo che dalla porta della ger, di prima mattina, i bambini delle vostre campagne stendono lo sguardo sul lontano orizzonte per contare i capi di allevamento e riferirne il numero ai genitori. Fa bene anche a noi abbracciare con lo sguardo l’ampio orizzonte che ci circonda, superando la ristrettezza di vedute anguste e aprendoci a una mentalità dal respiro globale, come invitano a fare le ger che, nate dall’esperienza del nomadismo delle steppe, si sono diffuse su un territorio vasto, divenendo elemento identificativo di diverse culture vicine.

Nel suo intervento, il Santo Padre fa notare che i mongoli, la maggior parte dei quali non è cattolico, oggi, possono dare un contributo importante alla società: “La sapienza del vostro popolo, sedimentata in generazioni di allevatori e coltivatori prudenti, sempre attenti a non rompere i delicati equilibri dell’ecosistema, ha molto da insegnare a chi oggi non vuole chiudersi nella ricerca di un miope interesse particolare, ma desidera consegnare ai posteri una terra ancora accogliente, una terra ancora feconda”.

“Quello che per noi cristiani è il creato, cioè il frutto di un benevolo disegno di Dio, voi ci aiutate a riconoscere e a promuovere con delicatezza e attenzione, contrastando gli effetti della devastazione umana con una cultura della cura e della previdenza, che si riflette in politiche di ecologia responsabile”, ammonisce Bergoglio, che elogia “la visione olistica della tradizione sciamanica mongola” dove “il rispetto per ogni essere vivente desunto dalla filosofia buddista rappresentano un valido contributo all’impegno urgente e non più rimandabile per la tutela del pianeta Terra”.

Non solo: “la Mongolia di oggi, con la sua ampia rete di relazioni diplomatiche, la sua attiva adesione alle Nazioni Unite, il suo impegno per i diritti umani e per la pace, riveste un ruolo significativo nel cuore del grande continente asiatico e nello scenario internazionale”. Bergoglio ci tiene quindi a ricordare “anche la determinazione” dello stato mongolo “a fermare la proliferazione nucleare e a presentarsi al mondo come Paese senza armi nucleari: la Mongolia non è solo una nazione democratica che attua una politica estera pacifica, ma si propone di svolgere un ruolo importante per la pace mondiale. Inoltre – altro provvido elemento da segnalare – la pena capitale non compare più nel vostro ordinamento giudiziale”. Da qui l’appello alla pace, con un occhio rivolto soprattutto ai confini dell’Europa dove da più di un anno infuria il conflitto tra Russia e Ucraina:

Voglia il Cielo che sulla terra, devastata da troppi conflitti, si ricreino anche oggi, nel rispetto delle leggi internazionali, le condizioni di quella che un tempo fu la pax mongolica, cioè l’assenza di conflitti. Come dice un vostro proverbio, «le nuvole passano, il cielo resta»: passino le nuvole oscure della guerra, vengano spazzate via dalla volontà ferma di una fraternità universale in cui le tensioni siano risolte sulla base dell’incontro e del dialogo, e a tutti vengano garantiti i diritti fondamentali! Qui, nel vostro Paese ricco di storia e di cielo, imploriamo questo dono dall’Alto e diamoci da fare insieme per costruire un avvenire di pace.

Non manca, infine, una carezza alla piccola comunità cattolica (appena 1500 i cristiani cattolici presenti nel Paese): “C’è una profonda connotazione spirituale tra le fibre della vostra identità culturale ed è bello che la Mongolia sia un simbolo di libertà religiosa. Penso al pericolo rappresentato dallo spirito consumistico che oggi, oltre a creare tante ingiustizie, porta a un individualismo dimentico degli altri e delle buone tradizioni ricevute. Le religioni invece, quando si rifanno al loro originale patrimonio spirituale e non sono corrotte da devianze settarie, sono a tutti gli effetti sostegni affidabili nella costruzione di società sane e prospere, dove i credenti si spendono affinché la convivenza civile e la progettualità politica siano sempre più al servizio del bene comune, rappresentando anche un argine al pericoloso tarlo della corruzione”.

In questa prospettiva, “la comunità cattolica mongola è lieta di continuare ad apportare il proprio contributo. Essa ha cominciato, poco più di trent’anni fa, a celebrare la sua fede proprio all’interno di una ger e pure la cattedrale attuale, che si trova in questa grande città, ne ricorda la forma. Sono segni del desiderio di condividere la propria opera, in spirito di servizio responsabile e fraterno, con il popolo mongolo, che è il suo popolo. Sono perciò contento che la comunità cattolica, per quanto piccola e discreta, partecipi con entusiasmo e con impegno al cammino di crescita del Paese, diffondendo la cultura della solidarietà, la cultura del rispetto per tutti e la cultura del dialogo interreligioso, e spendendosi per la giustizia, la pace e l’armonia sociale”.

Auspico che, grazie a una legislazione lungimirante e attenta alle esigenze concrete, i cattolici locali, aiutati da uomini e donne consacrati necessariamente provenienti per lo più da altri Paesi, possano sempre offrire senza difficoltà alla Mongolia il loro contributo umano e spirituale, a vantaggio di questo popolo. A tale riguardo, il negoziato in corso per la stipula di un accordo bilaterale tra la Mongolia e la Santa Sede rappresenta un canale importante per il raggiungimento di quelle condizioni essenziali per lo svolgimento delle ordinarie attività in cui la Chiesa cattolica è impegnata.

Al termine, il Presidente si congeda e il Papa si trasferisce alla Meeting Room A al terzo piano per incontrare il Presidente del Grande Hural di Stato, Gombojav Zandanshatar, e successivamente il Primo Ministro, Luvsannamsrai Oyun-Erdene. Quindi rientra in auto alla Prefettura Apostolica dove pranza in privato. Poi fa rotta verso la Cattedrale per l’incontro con il clero e i Vescovi mongoli, ultima tappa di questa prima giornata di Viaggio. (foto © Vatican Media)

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