Domenica Santarelli: la “Sora “Menica” che rese ospitale Passoscuro
Ristoro e un pasto caldo per quanti si avventuravano in una località deserta: la tenacia e la potenza femminile che fece nascere la trattoria “da Sora Menica”
“Cultura, Turismo, Lavoro”: un progetto della Fondazione Anna Maria Catalano, finanziato dall’Unione Europea Next Generation EU nell’ambito del PNRR Transizione digitale Organismi Culturali e creativi”.
Una donna in un territorio inospitale. Stagni, uccelli migratori, una landa di terra piana, lì alla Foce del Rio tre denari: cacciatori, sparuti visitatori, solo qualche anima che si spingeva fin lì, per un motivo e per un altro. E, là, in quella terra che sarebbe divenuta Passoscuro stava Sora Menica, al secolo Domenica Santarelli, a dare ristoro e un piatto caldo. Ma quella che nasceva in quei luoghi sarebbe divenuta molto di più di una locanda: la donna di cui si racconterà segnò a tal punto il territorio che, al termine di una vita piena, ebbe intitolata dal sindaco Giancarlo Bozzetto la piazza, in sostituzione del toponimo Ittireddu.
E la nostra storia inizia da qui, dalla piazza Domenica Santarelli, dove oggi c’è il mercato, con buona pace del comune di Itteru in provincia di Sassari. A guidarci saranno le memorie di Mario Guerra, nipote della straordinaria potenza femminile che stiamo per raccontarvi. “Fu una donna particolare – ci racconta – non la conobbi mai ma fu un caso straordinario. A partire da un dettaglio: era alta 1.80, cosa inusuale per una donna dell’epoca. Era una donna severa, capace di mettere in riga chiunque venisse alla locanda”
Amatrice e le difficoltà economiche
Domenica Santarelli, prima che divenisse Sora Menica, nacque il 3 giugno 1883 a Capricchia, una piccola frazione di Amatrice, in un territorio montuoso all’interno del parco nazionale del Gran Sasso. Un’antinomia curiosa, se si pensa che la donna segnerà la nascita di quello che oggi è, a tutti gli effetti, un borgo marino.
A Capricchia, paesino montano, che oggi vede una popolazione di ventidue residenti fissi, c’era ben poco da fare. La famiglia Santarelli viveva di quel poco che il territorio offriva, lavorando le lenticchie. Ma, alla penuria del luogo, si aggiunse presto l’asprezza della guerra mondiale che strappò alla vita, uccidendolo sul campo di battaglia, il primo marito della donna. Ma Domenica Santarelli non si diede per vinta e mise su, alla bell’e meglio, una locanda. Aveva due bambini piccoli da crescere: al mattino i due frequentavano la scuola, durante il pomeriggio lavoravano ai pascoli, come pastori. Ma non serve essere esperti di economia per capire che, in un posto come quello, un’attività economica non sarebbe durata tanto. E così fu.
Il primo periodo romano
Ma l’intervento provvidenziale che risolleva la storia, fu a quel punto un lontano parente, un certo Santarelli, forse un cugino, che la invitò, assieme ai figli, a stare a Roma. Chi la invitava, certo, non era uno qualunque. Il Santarelli era, come ricorda Mario Guerra, un pezzo grosso dell’Istituto Santo Spirito, e all’istituto Santo Spirito appartenevano i territori oggi coincidenti con Passoscuro. Ma se l’occasione era d’oro, la prontezza d’animo di Domenica non va sottovalutata. Egli prese i due bambini e venne a stare nella Capitale: non doveva essere semplice, per una donna del tempo, concepire una così grande libertà di scelta e movimento. Ma così fu: la famiglia Santarelli si trasferì nella centralissima via dei Serpenti. Ma la donna, alla vita della tentacolare città, non era avvezza. Durò, lì in quella nuova casa, sei mesi. E a Roma perse anche un secondo marito.
A guardia di un deserto
Fu così che, nel 1922, Domenica divenne la prima abitante- ancora inconsapevole, certo- di Passoscuro. Quello che aveva, assieme ai due figli, era un compito ingrato: difendere i territori di proprietà dell’istituto Santo Spirito dai coloni che venivano ad occuparli. Erano persone che venivano dal nord, veneziani e bresciani. Il compito di Domenica era di avvertire i carabinieri che, montando a cavallo da Maccarese e percorrendo il lungomare, giungevano a difesa della proprietà territoriale.
Nasce la trattoria da Sora Menica
Ma quegli ospiti non voluti non erano i soli a spingersi in quelle terre. Durante la stagione della caccia, un treno partiva da Tiburtina perché i cacciatori potessero giungere alle tenute dell’Agro Romano. E Sora Menica era sempre lì, donna temprata dalla penuria della montagna prima, dalla solitudine marina di quel luogo, poi: i cacciatori che frequentavano la zona si fermavano a parlare con lei ed il signor Guerra che, per rendergli servizio, aveva costruito anche delle capanne per custodirgli le armi della caccia.
Così nacque l’idea di costruire una locanda: quel che ne nacque, non fu, in un primo momento, una vera e propria attività commerciale, quanto un patto tacito di aiuto. A chi chiedeva un pasto dopo la battuta di caccia, Sora Menica offriva quel che c’era: fettuccine fatte in casa, cacciagione, paté d’oca. Non c’era conto, ma ciascuno offriva quel che voleva. E, al tempo, diveniva cacciatore chi poteva permetterselo. Tra gli ospiti illustri di quella che ormai era Sora Menica, anche l’ex sindaco di Roma Rebecchini che, a sue spese, nel 1930 fece installare un telefono pubblico. Quella di Passoscuro era al tempo una piccola comunità di duecento-trecento persone.
Per più di vent’anni, mentre Passoscuro gli cresceva attorno, una comunità viva e piena di speranza nonostante le penurie del dopoguerra, Sora Menica continuò la sua attività florida. Ottenne poi la licenza dal viceré di Roma che finalmente riconobbe al suo servizio lo statuto di locanda. Nasceva, a tutti gli effetti, da Sora Menica.
Tempi moderni
Sora Menica morì poco dopo la fine della guerra a lei sopravvisse il suo terzo marito, Paolo. Per quasi un secolo visse invece la locanda, aperta nel 1922 e chiusa nel 2017. Ora, negli spazi che furono del ristorante, sorgeranno degli appartamenti.