
Da Washington emerge una cruda verità per Kiev: la sopravvivenza dell’Ucraina come stato libero dipende in larga parte dagli interessi e dagli umori di leader stranieri, pronti a barattarla sul tavolo all’occorrenza
Washington, 3 marzo 2025 – L’incontro tra i presidenti Donald Trump e Volodymyr Zelensky nello Studio Ovale si è trasformato in uno scontro pubblico senza precedenti, con il capo della Casa Bianca che ha strigliato e umiliato il leader ucraino di fronte alle telecamere. In pochi minuti si è passati da sorrisi di circostanza a urla, minacce e accuse reciproche, in uno spettacolo diplomatico surreale. Trump ha attaccato Zelensky con dichiarazioni durissime, imponendo condizioni capestro per continuare gli aiuti all’Ucraina, mentre il presidente ucraino cercava invano di difendere la sua posizione. Il risultato? Nessun accordo, un’alleanza incrinata e Kiev che ora teme di aver perso l’appoggio del suo più potente alleato. Le conseguenze di questa resa dei conti alla Casa Bianca potrebbero segnare il destino dell’Ucraina, in quello che molti già definiscono un punto di non ritorno.
Attacchi frontali di Trump: insulti e minacce in diretta TV
L’incontro è degenerato in fretta in un furioso botta e risposta. Per circa venti minuti Trump e Zelensky si sono scontrati a viso aperto davanti ai giornalisti, alzando sempre più i toni. Trump non ha risparmiato insulti personali e accuse pesantissime al suo ospite. “Non sei una persona sveglia” ha detto bruscamente al leader ucraino, invitandolo ad “accettare il cessate il fuoco” perché “non hai carte in mano”. Il presidente americano ha accusato Zelensky di mancare di rispetto verso gli Stati Uniti e di essere ingrato per tutto l’aiuto ricevuto. Con tono sprezzante lo ha avvertito che Kiev che sta “giocando con la vita di milioni di persone” e “col rischio di una Terza Guerra Mondiale”. La sfuriata è proseguita con Trump che puntava il dito contro Zelensky, intimandogli di piegarsi alle richieste americane. “O fai un accordo oppure noi ci chiamiamo fuori” ha tuonato il presidente USA, lasciando intendere che senza il suo consenso Washington abbandonerà Kiev al proprio destino. A un certo punto Trump ha addirittura deriso Zelensky per la situazione disperata dell’Ucraina: “Il vostro Paese è in grossi guai, non state vincendo questa guerra. Non diteci cosa dobbiamo fare perché non siete nella posizione di poterlo dettare”. Il tono brutale usato da Trump – inedito in un incontro pubblico tra alleati – ha lasciato sgomenti i presenti. Zelensky ha provato a replicare e a far valere le proprie ragioni, ma è stato più volte zittito. Quando il leader ucraino ha cercato di contestare i numeri sugli aiuti europei o di spiegare le sue preoccupazioni, Trump lo ha interrotto bruscamente: “Hai parlato abbastanza”. Persino il vicepresidente J.D. Vance si è unito all’attacco, accusando Zelensky di non aver “mai detto grazie” agli americani. Quella che doveva essere una discussione diplomatica è così degenerata in un litigio in mondovisione, con Trump e i suoi a redarguire Zelensky come un scolaretto ingrato. A conclusione dello show, con i cronisti ancora sgomenti nello Studio Ovale, Trump si è voltato verso di loro commentando compiaciuto: “Questa è grande televisione” – a dimostrazione che considerava quanto accaduto poco più di un reality show politico, con Zelensky nel ruolo della vittima.
Aiuti vincolati: le condizioni dettate da Washington
Oltre agli insulti, Trump ha posto ultimatum chiari a Zelensky, delineando condizioni stringenti perché gli Stati Uniti continuino a sostenere l’Ucraina. Il messaggio di Washington è stato brutale: o Kiev si piega, o l’appoggio americano verrà meno. Ecco i punti principali emersi dallo diktat di Trump:
• Accordo sui minerali (“terre rare”) – Trump pretende che l’Ucraina firmi un accordo per concedere alle aziende americane lo sfruttamento delle sue risorse di terre rare. Secondo il presidente USA, questo accordo minerario “grandioso” sarebbe la chiave per fermare l’aggressione russa. In sostanza, Trump sostiene che con gli operai statunitensi che “scavano, scavano, scavano” nelle miniere ucraine, Mosca interromperebbe la guerra. Zelensky è apparso tiepido e dubbioso di fronte a questa richiesta, consapevole del carattere umiliante e rischioso di tale concessione. Ma per Trump la guerra si riduce a un affare: vuole le risorse ucraine in cambio del proseguimento degli aiuti, monetizzando di fatto il conflitto.
• Cessate il fuoco e negoziati immediati – Trump ha esortato Zelensky ad accettare subito una tregua e ad aprire colloqui di pace con Mosca. “Faresti bene a ottenere un cessate il fuoco adesso” ha insistito Trump, suggerendo che l’Ucraina dovrebbe fare compromessi con la Russia per fermare le morti sul campo. Dietro questa pressione c’è l’implicito ricatto: se Kiev non si mostra “pronta per la pace”, gli Stati Uniti sospenderanno il supporto militare, lasciando gli ucraini a “combatterla da soli”. Trump ha infatti chiarito: «O fate un accordo o noi ci chiamiamo fuori» – in altre parole, niente più armi né aiuti se la guerra continua. Significativamente, Trump ha rivelato che ritiene possibile concludere la guerra “in poche settimane” se solo Zelensky accettasse le sue condizioni.
• Nessuna garanzia di sicurezza aggiuntiva – A differenza delle promesse vaghe fatte dall’amministrazione precedente, Trump non offre alcuna garanzia di sicurezza concreta all’Ucraina. Prima dell’incontro aveva dichiarato che non sarebbero servite “molte garanzie una volta firmato un accordo”. Durante il colloquio ha ribadito a Zelensky che l’ingresso nella NATO resta un miraggio e che Washington non intende impegnarsi oltre per la difesa ucraina. In pratica, per Trump l’eventuale patto sulle terre rare sostituisce tutte le altre garanzie: nelle sue parole, firmato quell’accordo “non servirebbe molto altro” per assicurare la pace. Una posizione che lascia Kiev scoperta sul fronte della sicurezza, spingendo Zelensky sull’orlo di dover scegliere tra una pace imposta o la solitudine in guerra.
• “Più rispetto e gratitudine” – Un altro punto, non scritto ma chiarissimo, delle condizioni americane è la richiesta di deferenza da parte ucraina. Trump e i suoi collaboratori hanno ripetutamente lamentato la mancanza di “abbastanza gratitudine” di Zelensky verso gli USA. Il vicepresidente Vance lo ha accusato pubblicamente di non aver mai ringraziato a dovere per le armi e i finanziamenti ricevuti. Trump stesso lo ha definito “irrispettoso” e ha preteso che Kiev smetta di “dirci cosa dobbiamo fare”, rimarcando le gerarchie: è Washington a dettare la linea, e all’Ucraina spetta adeguarsi e mostrare riconoscenza. In sostanza, gli Stati Uniti condizionano il loro aiuto non solo a concessioni tangibili (minerali e tregua) ma anche a un cambio di atteggiamento da parte di Zelensky, che dovrebbe mostrarsi più docile e allineato ai desiderata di Trump.
Queste condizioni equivalgono a un vero e proprio ricatto politico. “Accetta l’accordo o sarete soli” è stata la sintesi brutale offerta da Trump nello Studio Ovale. Per Zelensky, già impegnato in una lotta esistenziale contro l’invasione russa, queste richieste rappresentano un boccone avvelenato: soddisfarle significherebbe cedere sovranità economica (sulle risorse nazionali) e autonomia decisionale (sulla strategia di guerra e pace), ma rifiutarle potrebbe voler dire perdere il supporto vitale di Washington. Mai prima d’ora l’Ucraina si era trovata davanti a un aut-aut così spietato da parte americana.
Terre rare: Trump trasforma la guerra in un affare
Al centro dello scontro vi è l’accordo sulle terre rare, che Trump ha elevato a conditio sine qua non per qualsiasi ulteriore aiuto all’Ucraina. Questa intesa prevedrebbe lo sfruttamento delle ingenti riserve ucraine di minerali strategici – come litio, titanio, scandio e altri elementi rari essenziali per hi-tech e difesa – da parte di compagnie statunitensi. Secondo Trump, concedere agli USA questi diritti minerari risolverebbe magicamente il conflitto: ha assicurato a Zelensky che se gli americani iniziano a trivellare il suolo ucraino “la Russia fermerebbe la guerra”. L’argomentazione è quantomeno bizzarra: Trump sembra vedere la guerra non come uno scontro tra libertà e aggressione, ma come un problema di business da risolvere con un deal. Monetizzare la pace, in sostanza.
Zelensky si è mostrato estremamente scettico verso questa logica. Il leader ucraino ha ricordato che Putin ha tradito sistematicamente ogni intesa passata e che regalare pezzi di economia ucraina agli americani non garantirà affatto che Mosca smetta di combattere. La sua controproposta è stata netta: l’unico modo per fermare Putin è rafforzare la difesa ucraina, in particolare con sistemi di difesa aerea e aerei da combattimento di cui Kiev “ha un disperato bisogno”. Zelensky ha insistito sul fatto che “Putin è un killer e un terrorista”, lasciando intendere che solo la forza può fermarlo, non certo un accordo commerciale sui minerali. Per tutta risposta, Trump ha liquidato queste preoccupazioni ergendosi a mediatore “imparziale” tra Kiev e Mosca e ribadendo la sua ricetta: prima gli affari, poi la pace.
Da parte ucraina, l’accordo sulle terre rare è visto come un affare umiliante e azzardato: significherebbe cedere risorse preziose in cambio di promesse vaghe sulla pace. Trump invece lo considera una vittoria diplomatica ed economica “su tutta la linea”, al punto da sostituire “ogni altra garanzia” nella sua visione. Questo divario di vedute spiega gran parte della tensione esplosa alla Casa Bianca. Agli occhi di Zelensky, Trump sta riducendo la tragedia ucraina a un cold bargain: uno scambio cinico minerali in cambio di pace. Una pace, peraltro, ben poco credibile: sulla carta oggi Putin potrebbe interrompere le ostilità in qualunque momento, ma ha scelto la guerra; perché mai dovrebbe farsi convincere proprio dalle concessioni minerarie ucraine agli americani? La proposta di Trump suona dunque come una copertura per interessi economici. In altri termini, il presidente USA sembra voler approfittare del disperato bisogno di aiuto di Kiev per strappare vantaggi commerciali – un atteggiamento che Zelensky stesso ha definito, diplomaticamente, frutto di uno “spazio di disinformazione” in cui vivrebbe Trump.
La questione delle terre rare rivela la trasformazione della politica estera americana sotto Trump: da garante della sicurezza internazionale a imprenditore opportunista. Il conflitto in Ucraina, da battaglia per la democrazia, viene declassato a questione di affari. In questo scenario distorto, i tank e i missili contano meno del litio e del titanio: una prospettiva inquietante per gli ucraini, che vedono la loro lotta esistenziale trattata come merce di scambio. Zelensky è arrivato a Washington sperando di rinsaldare l’alleanza e ottenere armi; si è ritrovato di fronte a un Trump uomo d’affari, interessato più al sottosuolo ucraino che alla sua libertà.
Zelensky cacciato dalla Casa Bianca
Il finale della giornata è stato, se possibile, ancora più umiliante. Dopo aver inflitto a Zelensky questa lezione pubblica, Trump ha deciso di stracciare il protocollo: nessuna conferenza stampa congiunta, niente foto di rito finali, niente dichiarazione congiunta di amicizia – tutti elementi consueti in visite di capi di stato alleati. Anzi, secondo fonti di stampa, Trump ha letteralmente cacciato Zelensky dalla Casa Bianca al termine del litigio. Il presidente ucraino ha lasciato anzitempo l’edificio, scuro in volto e a mani vuote, con il cosiddetto “accordo storico” sulle terre rare rimasto lettera morta. La scena ha dell’incredibile: un alleato accolto con tutti gli onori all’ingresso viene poi congedato in malo modo dalla porta di servizio. Fox News – tradizionalmente vicina a Trump – ha riferito compiaciuta che il Presidente avrebbe “invitato Zelensky ad andar via” dopo aver “visto abbastanza”. Su Truth Social Trump ha rincarato la dose nel resoconto post-incontro: ha scritto che Zelensky “ha mancato di rispetto” agli Stati Uniti nel loro “amato Studio Ovale” e che “potrà tornare solo quando sarà pronto per la pace”. In pratica, lo ha bandito dalla Casa Bianca fino a nuovo ordine, come un ospite indesiderato. Mai Zelensky, dall’inizio della guerra, aveva subito uno sgarro diplomatico di tale portata da un paese amico. Basti pensare al contrasto: solo pochi mesi fa, in dicembre, Zelensky veniva accolto a Washington (allora c’era Biden) come un eroe, invitato a parlare al Congresso, applaudito e sostenuto con ulteriori aiuti. Ora, con Trump, viene trattato alla stregua di un petulante mendicante, rimproverato e congedato senza cerimonie.
Kiev di fronte al baratro, Mosca già esulta
Il messaggio lanciato da Trump – davanti al mondo intero e, soprattutto, di fronte a Vladimir Putin – è che gli Stati Uniti sono pronti a lasciare la presa sull’Ucraina. O quanto meno ha fatto capire che la linea rossa di sostegno a Kiev, tenuta finora dagli USA, potrebbe dissolversi, a meno Kiev non accetti le condizioni di Washington. Le quali, come noto, guardano agli interessi americani e non a quelli ucraini o europei.
Intanto, Mosca esulta. La scena dello scontro Trump-Zelensky è stata accolta con “piena soddisfazione” dal Cremlino. Del resto Putin non poteva sperare in un risultato migliore: la principale potenza che sostiene il suo nemico sta mostrando segni di cedimento e divisioni interne. La propaganda russa già dipinge Zelensky come abbandonato dagli americani, un leader in difficoltà che “si è giocato il rapporto con Washington”. È probabile che Mosca ora indurisca ulteriormente le sue posizioni, fiutando l’aria di cedimento occidentale. Perché mai Putin dovrebbe trattare seriamente con Kiev se percepisce che gli Stati Uniti – il vero deus ex machina del sostegno militare ucraino – vogliono togliere il disturbo? Anzi, il Cremlino potrebbe decidere di premere l’acceleratore sul campo di battaglia, cercando di sfruttare quella che vede come un’imminente rottura dell’unità occidentale. Uno scenario da incubo per l’Ucraina, che rischia di trovarsi sotto attacco russo intensificato proprio mentre l’aiuto americano vacilla.
Dall’altro lato, l’Europa trema. I partner europei di Kiev si ritrovano di fronte alla concreta possibilità di una defezione americana e sanno di non poter colmare da soli il vuoto. Non a caso, poche ore dopo l’incidente diplomatico, il primo ministro polacco Donald Tusk ha twittato parole di incoraggiamento: “Caro Volodymyr… non sei solo”. Un messaggio solidale, certo, ma anche un implicito riconoscimento che il terreno sotto i piedi sta cedendo. Se Washington si sfila, per quanto buona volontà possano avere Polonia, Baltici o altri, l’apporto militare e finanziario complessivo all’Ucraina sarebbe di gran lunga inferiore al fabbisogno. L’Unione Europea finora ha marciato compatta accanto agli USA nel sostenere Kiev; tuttavia, senza la guida (e il portafoglio) americano, l’unità europea potrebbe incrinarsi sotto il peso di interessi divergenti e paure. Le crepe già si intravedono: alcune forze politiche in Europa potrebbero prendere spunto dall’atteggiamento di Trump per rilanciare idee di compromesso con Putin o per ridurre l’impegno verso Kiev, sostenendo che “se perfino gli USA mollano, perché dovremmo restare noi?”. Insomma, l’eco dello scontro di Washington potrebbe propagarsi fino a Bruxelles, Berlino, Parigi, alimentando tentazioni isolazioniste e divisioni nel fronte occidentale.
Per Kiev, lo scenario è tetro. Zelensky torna a casa a mani vuote e delegittimato agli occhi di alcuni alleati. In patria dovrà spiegare come mai il suo viaggio a Washington – da cui ci si attendevano nuove armi e sostegno – si è concluso in un disastro diplomatico. Già si levano le prime voci critiche: i falchi a Kyiv potrebbero accusarlo di essersi spinto troppo oltre nel fidarsi di un Trump notoriamente inaffidabile, mentre altri potrebbero rimproverargli l’opposto, ovvero di non aver saputo ingoiare l’orgoglio per salvare il necessario appoggio americano. L’esercito ucraino ha fatto sapere immediatamente di continuare a sostenere Zelensky nonostante lo scontro con Trump, un segnale importante di unità interna. Ma la pressione politica crescerà. Negli Stati Uniti, i repubblicani più vicini a Trump hanno già messo in dubbio il futuro di Zelensky: il senatore Lindsey Graham ha definito il comportamento di Zelensky “irrispettoso” e ha dichiarato che così com’è “non so se potremo mai più fare affari con lui”. Alla domanda se Zelensky dovrebbe farsi da parte, Graham ha risposto gelido: “O deve dimettersi e mandare qualcuno con cui possiamo fare affari, oppure deve cambiare”. Parole sconcertanti, che equivalgono a chiedere un cambio di leadership a Kiev gradito a Washington. Anche se simili richieste sono per ora isolate, fanno capire quanto profonda sia la frattura apertasi. Trump e i suoi sembrano ormai diffidare personalmente di Zelensky – un funzionario della Casa Bianca ha ammesso che i rapporti tra i due “sembrano irreparabili” – e questo mina irrimediabilmente l’intesa politico-militare costruita negli ultimi anni.
La realtà cruda emersa da questa vicenda è che la posizione ucraina è estremamente vulnerabile al mutare dei venti politici a Washington. Trump ha squarciato l’illusione di un supporto occidentale monolitico e duraturo, mostrando che per lui l’Ucraina è soprattutto un dossier da gestire con pragmatismo spregiudicato, più che una causa morale da difendere. È una verità dura da digerire per Kiev: significa che, al di là della retorica, la sopravvivenza dell’Ucraina come stato libero dipende in larga parte dagli interessi e dagli umori di leader stranieri, pronti a barattarla sul tavolo all’occorrenza.
*Lorenzo Contigliozzi – corrispondente dagli Stati Uniti.
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