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Gaza, il piano di Trump mette alle corde Netanyahu

30 settembre 2025 | 12:46
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Gaza, il piano di Trump mette alle corde Netanyahu

Il piano vieta l’annessione di Gaza, impone il ritiro graduale dell’esercito e apre a un percorso di autodeterminazione palestinese. Netanyahu ha avallato il piano non per convinzione, ma per necessità

Washington, 30 settembre 2025 – L’estrema destra israeliana è sul piede di guerra. L’avallo di Netanyahu al piano di pace proposto dal presidente Trump per la Striscia di Gaza ha già fatto infuriare diversi ministri del gabinetto di guerra. Tra i più duri il ministro (tanto per cambiare) Smotrich – noto per aver invocato l’annientamento totale di Gaza e per essersi offerto “come boia” – il quale ha definito la proposta un “miscuglio indigesto. E’ un clamoroso fallimento diplomatico, un chiudere gli occhi e voltare le spalle a tutte le lezioni del 7 ottobre. A mio avviso, finirà anche in lacrime. I nostri figli saranno costretti a combattere di nuovo a Gaza”. Tra i punti cruciali, infatti, spicca il divieto per Israele di annettere la Striscia di Gaza, il graduale ritiro dell’esercito ed un percorso che porti all’autodeterminazione palestinese. Tutti argomenti inaccettabili per l’estrema destra israeliana e che lo stesso premier, pochi mesi fa, non avrebbe mai accettato. Anzi, non si sarebbe nemmeno seduto al tavolo.

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Netanyahu ha avallato il piano non per convinzione, ma per necessità, dopo il boicottaggio in mondovisione all’Assemblea Generale dell’Onu (leggi qui) che rappresenta solo la punta dell’iceberg di un isolamento prolungato. La finestra internazionale si sta chiudendo definitivamente: Trump ha disperato bisogno di un risultato spendibile, gli arabi pretendono una “giornata dopo” che non sia il deserto politico, l’Europa valuta la completa sospensione di armi a Tel Aviv chiede qualche segnale. In mezzo, Bibi: a sinistra non ha più credito, al centro è tollerato, a destra è ostaggio di chi sogna l’annessione integrale e il trasferimento “volontario” dei residenti di Gaza.

La sua adesione al piano è un atto di sopravvivenza estrema. Perché – dal punto di vista israeliano – il patto fa acqua nel punto più sensibile: promette sicurezza a Israele senza una vittoria totale e prospetta una governance di Gaza senza una piena occupazione israeliana. Due eresie per l’ultra-destra, due condizioni minime per chiunque guardi oltre domani mattina.

C’è poi la spina degli ostaggi e dei loro familiari. Ogni proposta che contempli tregue prolungate e scambi è letta dagli oltranzisti come merce di scambio con il “terrorismo”; dalla società civile come imperativo umano e nazionale. Il mancato ritorno degli ostaggi israeliani a casa – vivi e morti – è la vera causa dell’enorme frattura interna tra Netanyahu e la popolazione israeliana e di non voler realmente trovare una soluzione, ed anche i media locali lo stanno ormai scaricando.

Il cosiddetto piano di Trump ha un pregio e due peccati. Il pregio: definisce finalmente un corridoio tra cessate il fuoco, meccanismi di sicurezza e un embrione di governo provvisorio, un Consiglio di Pace capeggiato da Trump e Tony Blair. È poco? Forse. Ma è l’unico linguaggio che il sistema è disposto a finanziare e proteggere.
I peccati: l’ambiguità sulla sovranità finale e la promessa, non detta ma percepita, che “tutto tornerà come prima” se la sicurezza dovesse vacillare. Questo basta a incendiare gli ultras e a non convincere i pragmatici. Ma proprio quell’ambivalenza, per Netanyahu, era il salvagente: abbastanza vaga per non rompere subito con i falchi, abbastanza concreta per non perdere l’ombrello americano. (Credit Photo: whitehouse.gov)

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