Seguici su

Cerca nel sito

Le notizie dal territorio

Articolo Redazionale

Il lavoro agile o “smart working”: pro e contro della flessibilità lavorativa

Flessibilità ed autonomia nella scelta dei luoghi e degli orari, comunque entro i limiti di legge della durata massima giornaliera e settimanale, sono le caratteristiche principali di una modalità d’impiego che promette di modificare la quotidianità di un numero crescente di lavoratori

L’utilizzo del lavoro agile sarà il modello del futuro prossimo? Secondo l’Osservatorio Nomisma, prima dell’emergenza pandemica in Italia erano 570mila i lavoratori in remoto. Dopo il Dpcm del 23 febbraio, con il quale è stato reso più immediato il ricorso allo smart working – attuabile anche in assenza di accordo individuale fra le parti –, coloro che svolgono le proprie mansioni restando fisicamente al di fuori dell’azienda hanno superato il totale di un milione. Flessibilità ed autonomia nella scelta dei luoghi e degli orari, comunque entro i limiti di legge della durata massima giornaliera e settimanale, sono le caratteristiche principali di una modalità d’impiego che promette di modificare la quotidianità di un numero crescente di lavoratori. È ormai noto che per le aziende il ricorso al lavoro agile si traduca in costi minori ed una migliore produttività, ma quali sono gli ulteriori vantaggi e quali gli svantaggi? Esistono pro e contro, vedremo di seguito di cosa si tratta.

Facciamo innanzitutto chiarezza sulla distinzione fra lavoro agile e telelavoro, poiché sono forme di occupazione differenti. Secondo l’Accademia della Crusca, i termini “smart working” e “lavoro agile” possono essere usati come sinonimi, privilegiando l’espressione italiana anziché la versione anglofona. Al contrario, il telelavoro è un’attività regolarmente svolta dentro o fuori i locali dell’impresa, attraverso le tecnologie informatiche, di informazione o comunicazione, ma non vi è un’autonomia nella scelta degli orari. Pertanto, non va fatta confusione accomunando il lavoro agile al telelavoro, in quanto possono entrambi essere svolti in remoto, ma la sostanziale differenza è la regolarità delle fasce orarie del telelavoro.

La diffusione italiana della flessibilità lavorativa

In Italia, le prime imprese ad attuare il lavoro agile, regolamentato dalla Legge 81/2017, sono state per il 58% organizzazioni di grandi dimensioni localizzate soprattutto nel Settentrione, mentre per quanto riguarda le piccole e medie imprese, erano soltanto il 7% fino allo scorso anno. Nella Pubblica amministrazione, prima dell’emergenza Covid-19 si registrava un utilizzo dello smart working pari al 12%. Dopodiché, a marzo con un’apposita circolare è stata incentivata la modalità flessibile di svolgimento della prestazione lavorativa, invitando le PA a garantire adeguati livelli di sicurezza e protezione della rete. Oggi, con la riapertura delle attività e la fine delle misure restrittive di contenimento dell’epidemia, iniziano ad emergere le prime notizie circa i dipendenti del settore pubblico intenzionati a proseguire in maniera permanente il lavoro agile. È il caso del Comune di Torino, ove il 18% degli 8600 lavoratori sarebbe propenso a non tornare in ufficio, preferendo svolgere le proprie mansioni a distanza. Non si tratta ovviamente di coloro che lavorano agli sportelli e nei servizi diretti al cittadino, ma soprattutto dei settori di Urbanistica, Servizi tecnici e Patrimonio che ne usufruiscono in percentuali rispettivamente dell’85%, 84% e 90%. Comunque, secondo il responsabile sindacale della Cgil piemontese, Ezio Longo, lo smart working “deve essere volontario e inoltre va regolamentato, visto che oggi ci stiamo basando su un accordo sperimentale del 2016 studiato su numeri limitati. Devono essere previsti buoni pasto e altre risorse che permettano di non scaricare sui lavoratori il costo della trasformazione”. Ad ogni modo, con i correttivi al decreto anticrisi attualmente all’esame alla Camera, è attesa una proroga per tutti i dipendenti pubblici che probabilmente estenderà il lavoro agile per i prossimi sei mesi, data l’incertezza riguardante l’eventualità di una seconda ondata dell’epidemia in autunno.

Oltre ai costi per munirsi di tutta la necessaria strumentazione – dal computer portatile o tablet alla stampante, connessione internet e cavo usb inclusi – per svolgere il lavoro in remoto, che non dovrebbero ricadere esclusivamente sui dipendenti, l’Associazione Italiana di Psicologia ha già richiamato l’attenzione su ulteriori aspetti da tenere in considerazione: “Per i lavoratori saranno necessari interventi di formazione e informazione rivolti a una maggiore sensibilizzazione e consapevolezza, non solo sugli aspetti tecnici del lavoro e sulle competenze digitali, ma anche sulla gestione dei tempi di vita in quasi totale assenza di confini tra lavoro e privato (il lavoro da casa può favorire la conciliazione lavoro-vita personale, ma al tempo stesso aumentare il rischio di interferenze reciproche) e sull’ergonomia della postazione di lavoro gestita in autonomia. In termini di gestione dei confini, le organizzazioni dovranno essere supportate nell’individuazione di modalità efficaci per garantire alle persone il diritto alla disconnessione dal lavoro, e quindi dagli strumenti tecnologici che lo supportano, definito nell’Art. 19 della Legge 81/2017 come dovere del datore di lavoro. A oggi la legge lascia molto margine di azione su questo punto, ma dato l’elevato numero di lavoratori “agili” che avremo durante la Fase 2, e anche dopo l’emergenza, diventa prioritario agire in maniera più decisiva, per ridurre il rischio di dipendenze (da lavoro, da internet, da dispositivi digitali) e controllare lo stress lavoro-correlato garantendo adeguati tempi per il recupero”, si legge nel documento relativo all’emergenza Covid.

Vantaggi e svantaggi dello smart working

Scendiamo dunque nel dettaglio dei pro e dei contro della flessibilità lavorativa che è improvvisamente entrata a far parte della quotidianità di molti italiani. Fra i principali e acclarati vantaggi del lavoro agile, vi è la notevole quantità di tempo risparmiato negli spostamenti per raggiungere la sede aziendale. Meno automobili in circolazione e mezzi pubblici non sovraffollati implicano anche una maggiore sostenibilità ambientale. In altre parole, si riducono sia il traffico che il conseguente inquinamento. Secondo il responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, Mariano Corso, “i benefici economico-sociali potenziali dell’adozione di modelli di lavoro agile sono enormi. Si può stimare un incremento di produttività del 15% per lavoratore, una riduzione del tasso di assenteismo pari al 20%, risparmi del 30% sui costi di gestione degli spazi fisici per quelle iniziative che portano a un ripensamento degli spazi di lavoro e un miglioramento dell’equilibrio fra lavoro e vita privata per circa l’80% dei lavoratori”.

Nel caso di famiglie con bambini, con lo smart working è possibile mantenere il proprio posto di lavoro e al contempo risparmiare sulle spese destinate agli asili –  ma si tratta di un aspetto che comporta anche un rovescio della medaglia, in quanto accudire i figli nel mentre si lavora è di gran lunga più complicato. La possibilità di impiego per chi soffre di patologie che potrebbero limitarne gli spostamenti è senz’altro uno dei casi più rilevanti di plusvalore individuale del lavoro agile. Per le aziende, i risparmi sono legati alle spese energetiche per l’illuminazione dei locali, la gestione delle mense aziendali, la pulizia e la climatizzazione estiva e invernale. L’aspetto più critico sembra invece essere la mancanza delle occasioni di socialità, con un derivante senso di isolamento, assieme alla difficoltà di condivisione delle informazioni per una limitata efficacia delle interazioni virtuali, nonché il rischio di lavorare molto più a lungo dell’orario previsto.

E per quanto riguarda la retribuzione? Ai lavoratori che svolgono la prestazione in modalità di lavoro agile spetta un trattamento economico e normativo non inferiore a quello applicato per i lavoratori che svolgono le stesse mansioni all’interno dell’azienda. Per il trattamento normativo e lo stipendio occorre fare riferimento al contratto collettivo e non a quello aziendale: il recesso è ammesso, per giustificato motivo, sia per l’accordo a termine sia a tempo indeterminato. La sicurezza e la salute devono essere garantite al dipendente dal datore di lavoro, il quale ha l’obbligo di presentare in forma scritta un rapporto almeno annuale sull’individuazione dei rischi generali e specifici connessi alla modalità del rapporto lavorativo. Il dipendente ha diritto alla tutela contro gli infortuni occorsi durante il tragitto di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione di lavoro, poiché lo smart working può essere effettuato anche in un luogo diverso dalla propria casa.

La tutela della privacy dei lavoratori “smart”

Il datore di lavoro può controllare i dipendenti a distanza? Una questione piuttosto delicata su cui vale la pena di soffermarsi e che riguarda il confine da delineare per la tutela della riservatezza dei dipendenti. Ossia, la protezione da intrusioni nella sfera personale da parte del datore di lavoro attraverso il monitoraggio a distanza, anche per mezzo di dispositivi audiovisivi. Secondo le linee guida del Garante per la protezione dei dati personali (Gazzetta Ufficiale n. 58 del 10 marzo 2007), relativamente alla posta elettronica e l’utilizzo di internet bisogna tener conto di numerosi aspetti. Il datore di lavoro ha l’obbligo di fornire una dettagliata informativa sulle modalità di utilizzo della rete e della posta elettronica: è vietato effettuare sistematici monitoraggi e letture delle email e della cronologia web, poiché tale pratica equivarrebbe ad un controllo a distanza in contrasto con lo Statuto dei lavoratori. Al fine di prevenire un utilizzo inappropriato delle risorse aziendali, è lecito inibire l’accesso a determinati siti internet ed app, così da non incorrere nell’errore di tenere traccia delle attività virtuali dei dipendenti. In materia di controllo a distanza tramite dispositivi audiovisivi, l’Art. 4 dello Statuto è stato aggiornato ad opera del decreto legislativo 151/2015 per adeguare la normativa alla diffusione delle nuove tecnologie. In precedenza, vi era il divieto assoluto di monitorare i dipendenti anche a distanza con impianti audiovisivi ed altre apparecchiature, ma tale modifica (Jobs Act) ha introdotto la possibilità di controllare l’attività svolta dai lavoratori.

“Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali”, si legge al primo comma. Pertanto, l’uso di apparecchiature di controllo remoto dei lavoratori è legittimo soltanto nel caso in cui avvenga per determinate motivazioni e con l’accordo sindacale. La Legge n. 300 specifica al comma due del medesimo articolo: “La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati del lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”. In tal caso, lo Statuto dei Lavoratori ha ampliato i poteri di controllo del datore di lavoro sulla strumentazione aziendale, sulla quale è consentito un monitoraggio anche senza le procedure di accordo o autorizzazione descritte al primo comma.

Ma cosa s’intende per “strumenti” di lavoro? Tablet, computer, smartphone e le varie app utilizzate per svolgere le proprie mansioni rientrano nella suddetta definizione? Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha chiarito la questione con la nota del 18 giugno 2015: l’espressione ‘“per rendere la prestazione lavorativa”’ comporta che l’accordo o l’autorizzazione non servono se, e nella misura in cui, lo strumento viene considerato quale mezzo che ‘serve’ al lavoratore per adempiere la prestazione: ciò significa che, nel momento in cui tale strumento viene modificato (ad esempio, con l’aggiunta di appositi software di localizzazione o filtraggio) per controllare il lavoratore, si fuoriesce dall’ambito della disposizione: in tal caso, infatti, da strumento che ‘serve’ al lavoratore per rendere la prestazione il pc, il tablet o il cellulare divengono strumenti che servono al datore per controllarne la prestazione. Con la conseguenza che queste ‘modifiche’ possono avvenire solo alle condizioni ricordate sopra: la ricorrenza di particolari esigenze, l’accordo sindacale o l’autorizzazione”.

Uno sguardo al contesto europeo

I Paesi dell’Unione europea che si posizionano in cima alla graduatoria dell’utilizzo di modalità di lavoro agile sono Francia, Danimarca, Svezia, Paesi Bassi, Regno Unito e Lussemburgo. In particolar modo in Francia, dove l’84% dei lavoratori possiede una maggiore indipendenza nella gestione dell’orario di lavoro e la regolamentazione dello smart working è stata avviata da alcuni anni, il diritto alla disconnessione è stato introdotto nel 2017. Una norma che obbliga le aziende con più di cinquanta dipendenti a specificare le fasce di reperibilità: in tal modo è stato sancito il diritto a non rispondere alle e-mail ed alle telefonate professionali al di fuori dell’orario stabilito nel contratto.

Appare evidente come la nuova modalità di regolazione del binomio individuo-organizzazione rappresentata dal lavoro agile non sia né da valutare con facili entusiasmi come una soluzione che possa apportare esclusivamente benefici ad entrambe le parti, né da leggere in chiave totalmente critica. Per la buona riuscita del modello di occupazione “smart” occorre tuttora un concreto impegno, sia nell’ambito dell’odierno sistema dei rapporti lavorativi, sia da parte del legislatore per stabilire i limiti e le tutele della flessibilità, in special modo nel campo della sicurezza.

Flora Liliana Menicocci

Più informazioni su

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di Il Faro Online, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.