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L’allarme della Dia: Fiumicino un polo d’attrazione per le mafie

Nella relazione semestrale inviata al Parlamento, l'aeroporto "Da Vinci" e i porti di Gaeta e Civitavecchia finiscono sotto la lente della Direzione Investigativa Antimafia

Fiumicino – Reati ambientali, traffico di stupefacenti, ma anche usura, gioco d’azzardo e gestione dei rifiuti urbani. Il mondo cambia e anche le mafie tradizionali si evolvono per stare al passo coi tempi con nuovi assetti e nuove alleanze. E’ quanto emerge dalla relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia (Dia), che nel report appena diffuso indica il Lazio, in particolare il litorale romano, un polo d’attrazione per la criminalità organizzata.

Non solo Casamonica e Spada: a Roma e nell’hinterland convivono oramai anche clan appartenenti alla mafia siciliana, alla ‘ndrangheta e alla camorra. Oltre al traffico di stupefacenti, la maggior parte delle cosche tenta di infiltrarsi negli uffici delle Istituzioni per ottenere aggiudicarsi appalti pubblici. Ma non solo.

Al centro dei traffici illeciti

“La centralità geografica della regione e la compresenza di rilevanti interessi economici e politici, fanno del Lazio un polo di attrazione per le organizzazioni mafiose – si legge nella relazione -. In questo senso, la presenza dell’aeroporto Internazionale Leonardo da Vinci, del porto di Civitavecchia e di importanti stazioni ferroviarie, facilitano gli spostamenti e le possibili interazioni criminali tanto sul piano nazionale che estero”.

“A ciò si aggiunga come, nel 2018, il sistema portuale regionale (Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta) abbia fatto registrare un aumento del 14,8% del traffico di container e del 4,2% dei passeggeri. Un incremento che ha riguardato anche il traffico aeroportuale di merci – prosegue la relazione -. Un contesto, quindi, che offre prospettive di crescita imprenditoriale e d’investimento, peraltro confermate da una pubblicazione della Banca d’Italia”.

Clicca qui per leggere la Relazione Semestrale della Dia

In questo documento, intitolato “L’economia del Lazio” si legge che “nei primi tre trimestri del 2019 il numero di imprese attive in regione è aumentato dello 0,9 per cento. La crescita si è concentrata in alcuni settori del terziario (in particolare i servizi di alloggio e ristorazione e le attività immobiliari) e nelle costruzioni”.

Per il 2020, fa notare la Banca d’Italia, “secondo i piani degli imprenditori … la spesa per investimenti tenderebbe a espandersi in misura limitata; in modo più sostenuto per le aziende di maggiori dimensioni”. Oggi le mafie conoscono bene l’andamento dei mercati e quali settori sia più conveniente infiltrare.

Non a caso, spiega la Dia, “la presenza della criminalità organizzata si è manifestata con più forza nelle aree maggiormente urbanizzate o comunque dove più intensi sono gli scambi commerciali. Una presenza che vede coinvolte indistintamente le organizzazioni calabresi, campane e siciliane, che se da un lato mantengono i legami con il territorio d’origine, dall’altro non disdegnano relazioni ed accordi con altre compagini criminali funzionali ad infiltrare il tessuto economico laziale“.

Un laboratorio di criminalità

All’occorrenza, le mafie tradizionali “interagiscono tra di loro e con altri gruppi locali che hanno adottato il metodo mafioso”. Nella relazione la Dia ricorda quindi la sentenza numero 1785 della Corte di Cassazione che ha riconosciuto il clan Casamonica-Spada-Di Silvio un’associazione di stampo mafioso.

Va ricordato che per “metodo mafioso” si intende la “capacità di ricorrere alla violenza, psichica o compulsiva, al fine di creare assoggettamento intimidazione ed omertà per il raggiungimento di fini illeciti”. La Dia fa presente che questo metodo, ad oggi, “prescinde dalla consapevolezza dell’ambiente circostante” e, per tanto, “non deve più necessariamente essere geografico”, bensì “sociale, modificando così l’unico concetto di ‘territorio’ storicamente pervaso dall’influenza di organizzazioni mafiose”.

E, a differenza delle organizzazioni mafiose storicamente conosciute, quelle che vivono sul territorio laziale di “recente sviluppo”, “si presentano anche con un volto violento. Violenza ed efferatezza esercitate nei confronti delle vittime, indotte così ad una condizione di soggezione e di intimidazione derivanti dalla sola appartenenza
di questi soggetti a determinate famiglie criminali“.

Al contrario, le mafie tradizionali “hanno adottato, a fattor comune, metodi operativi che si caratterizzano per il contenimento delle componenti violente, che hanno ceduto il passo alla ricerca di proficue relazioni di scambio e di collusione finalizzate ad infiltrare il territorio in modo silente”.

Questo rende il Lazio una sorta di “laboratorio criminale”, prosegue la Dia, “dove le mafie tradizionali interagiscono, in equilibrio e secondo una logica di spartizione degli interessi, con le descritte associazioni criminali autoctone. La prospettiva di sviluppare affari condivisi, o quantomeno senza contrasti, ha determinato il ricorso a modalità operative che fanno preferire al controllo del territorio in senso stretto, l’infiltrazione del tessuto economico-finanziario. Dinamiche complesse frutto di una progressiva integrazione, conseguente ad una coesistenza ultradecennale tra le varie forme di criminalità”.

I tentacoli delle mafie sul gioco d’azzardo

“La vastità del territorio e la presenza di numerose attività commerciali fanno di Roma un luogo favorevole per una silente infiltrazione delle organizzazioni mafiose del sud“, ribadisce la Dia, che sottolinea: “L’area metropolitana viene considerata – fatte salve alcune eccezioni – un mercato su cui svolgere affari, piuttosto che un territorio da controllare”.

Di conseguenza, “le presenze criminali autoctone sono diventate per le mafie tradizionali il volano per intessere relazioni e rapporti affaristici di reciproca convenienza. Rapporti che non possono prescindere da una rete di professionisti e di pubblici funzionari compiacenti e necessari per la gestione e il reinvestimento dei capitali mafiosi”.

“Questo approccio ha indubbiamente favorito lo sviluppo di una ‘criminalità dei colletti bianchi’ che, attraverso prestanome e società fittizie, sfrutta il contesto per riciclare e reinvestire capitali illeciti”, prosegue la Dia.

Mentre in passato è stato il soggiorno obbligato a determinare lo spostamento verso nord di esponenti di Cosa nostra, della camorra e della ndrangheta, l’“emigrazione” di oggi, specie quella verso la Capitale, ha certamente lo scopo di riciclare e reimpiegare i proventi illeciti conseguiti nelle aree di provenienza e di avviare nuove attività criminose, principalmente legate al narcotraffico e proiettate anche verso il gioco d’azzardo.

Nel Lazio, “l’incremento dei sequestri di patrimoni illeciti, registrato negli ultimi anni sia sul piano penale che su quello di prevenzione, rappresenta un chiaro segnale di questo processo evolutivo, che coinvolge in primo luogo le cosche calabresi, capaci di insinuarsi nel tessuto economico della città”.

Anche l’area di Pomezia non è esente da infiltrazioni mafiose. “Nel 2018 – ricorda la Dia – si è rilevata l’operatività di un gruppo calabrese dedito all’usura ed all’estorsione, non disdegnando il ricorso ad azioni violente”.  Al pari della provincia di Roma, anche l’area pontina si caratterizza per la presenza di vari tipi di organizzazioni criminali, “siano esse locali o proiezioni di quelle mafiose tradizionali (‘ndrangheta, camorra e Cosa nostra). Una convivenza funzionale alla realizzazione degli affari illeciti”, si legge ancora nel report.

L’attenzione delle Istituzioni e delle Forze dell’Ordine sul territorio resta alta (una conferma ne sono le diverse operazioni di polizia realizzate in questi mesi nella Capitale e nell’Hinterland), ma ciascuno di noi deve fare la sua parte denunciando. Questa è la vera antimafia.

(Il Faro online)