Il tifo (sportivo) non è una malattia da debellare, ma un valore da proteggere

15 gennaio 2023 | 19:24
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Il tifo (sportivo) non è una malattia da debellare, ma un valore da proteggere

Vietare le trasferte non è la soluzione. Andreste mai a vedere la partita in uno stadio vuoto? Non credo, perché i tifosi sono il cuore pulsante del calcio

“Il tifoso è criminale, il tifoso è violento, il tifo va debellato”… dopo gli ultimi episodi di violenza che hanno visto scontrarsi due tifoserie sull’A1 (leggi qui), queste sono le parole che si sentono all’ordine del giorno: stando ai fatti, i tifosi del Napoli diretti a Genova per la partita contro la Sampdoria si sono scontrati con i tifosi della Roma diretti, invece, a Milano per assistere al match Milan-Roma. Episodi come questi non sono una novità, ma ogni volta che accadono sembra quasi inevitabile sprofondare in una generalizzazione da cui non è facile uscire.

Si perché la parola “tifosi” racchiude tutti coloro che seguono il calcio: chi ama la propria squadra è un tifoso, chi ama il calcio è un tifoso. Siamo tifosi se andiamo allo stadio o in trasferta. Siamo tifosi se guardiamo i match da casa. Per questo, ogni volta che se ne presenta l’occasione, puntare il dito indistintamente contro tutti i tifosi non fa bene e non fa bene nemmeno vedere sempre e solo il “lato nero” delle tifoserie. Certo, la violenza organizzata non è giustificabile, è vero che chi sbaglia deve pagare, ma solo chi l’ha vissuto sulla propria pelle, chi frequenta lo stadio, sa quanto sarebbe diverso e vuoto il calcio senza i tifosi.

E’ veramente complicato da spiegare, ma bisognerebbe fermarsi un attimo a riflettere e smettere di ragionare per categorie, tenendo conto che ogni modo di tifare, che sia giusto o sbagliato, ogni episodio che accade dovrebbe essere valutato a sé. Non vi è dubbio che la violenza non ha nessun attenuante e va condannata perché si tratta di azioni che possono mettere a rischio non solo l’incolumità personale, ma anche quella di tutti. Ma non è violenza, anche solo verbale, l’accanimento contro i tifosichiamati indistintamente criminali? E’ facile dire “eh, ma sono sempre loro che fanno a botte!”. Ma ci siamo mai fermati a pensare alle innumerevoli risse che scoppiano, ad esempio, nelle zone della movida e non solo allo stadio?

Tifare non è sinonimo di essere violento, purtroppo vediamo sempre più spesso violenza ovunque e potremmo diventare violenti anche noi, anche senza rendercene conto. Quell’area di servizio di Arezzo, teatro degli scontri, è la stessa in cui anni fa perse la vita Gabriele Sandri: il tifoso della Lazio ucciso da un colpo d’arma da fuoco sparato da un poliziotto. Gabriele non stava partecipando agli scontri. Si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato ed è stato ucciso. Domenica lì non c’era solo chi ha fatto a botte: c’erano uomini, donne, famiglie che viaggiavano su e giù per l’Italia e c’erano tifosi che si trovavano lì per fare un sosta e prendere anche solo un caffè. Cosa succede se, in casi come questo, si scatena il panico e si cerca di difendere se stessi e le persone a noi care?Diventi un tifoso violento perché eri lìdove è successo il fatto? Da una parte sì, perché alle forze dell’ordine che reprimono la violenza non importa se hai iniziato, partecipato o subito la rissa. Eri lì e potresti avere qualche colpa. Ma dall’altra no, perché hai solo cercato di difenderti rispondendo ad un “attacco”. E, volendo allargare la riflessione, le stesse forze dell’ordine non sono violente quando caricano per “sedare” le risse fuori dagli stadi, non curanti se con quella violenza travolgono donne, vecchi o bambini? Anche episodi del genere sono capitati spesso, eppure se ne parla poco.

Ed è qui che la faccenda si complica ancor di più. Stiamo entrando nel campo dell’eterna lotta tra necessità di protezione pubblica e libertà personale: uno dei grandi temi di cui si discute da sempre. Forse sarebbe giusto aumentare i controlli, ma la creazione di uno Stato di Polizia non può e non deve essere la soluzione, perché questo porterebbe all’annullamento di tutte le libertà personali conquistate fino ad ora. Ma non si può nemmeno invocare l’anarchia: il completo caos e l’assenza di regole metterebbero in pericolo tutti e porterebbero ad una regressione della nostra società, la quale si basa proprio sulle regole che gli uomini si sono dati per far funzionare meglio la vita comune e garantire i diritti di tutti.

Ma non è forse un diritto anche andare allo stadio per divertirsi in famiglia, con gli amici e le persone a noi care? Lo stadio non dovrebbe rappresentare un pericolo, ma un luogo dove poter tifare la propria squadra e godersi lo spettacolo. Cosa bisognerebbe fare quindi? Privare il calcio del tifo perché considerato violento? Vietare le trasferte a tutti i tifosi non è la soluzione… eppure si ricade sempre su quella, senza tenere contro che, così facendo, a rimetterci sono tutti. Chi ci è andato almeno una volta nella vita sa bene che i tifosi sono le 60 mila, 80mila persone che ogni domenica riempiono gli stadi, che animano le curve, i settori ospiti e che cantano per 90 minuti incitando la propria squadra. Andreste mai a vedere la partita in uno stadio vuoto? Non credo, perché i tifosi sono il cuore pulsante del calcio. Quello che, per ora, si può fare è smettere di rimanere ancorati all’assioma tifoso = cattivo. Basterebbe provare, per una volta, a non generalizzare.

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