LA SITUAZIONE |
Esteri
/

Washington si spacca su Ucraina e Israele

6 dicembre 2023 | 23:45
Share0
Washington si spacca su Ucraina e Israele

Il Congresso blocca gli aiuti a Kiev, mentre l’opinione pubblica è divisa sulla questione medio-orientale. E su Biden, sempre più solo, aleggia lo spettro di Trump

Washington, 6 dicembre 2023 – A meno di un anno dalle elezioni americane, Washington si spacca sulle questioni Ucraina e Israele. Gli Stati Uniti d’America si trovano, nello stesso momento, ad un bivio centrale e ad un punto morto della loro storia: la guerra continua a imperversare in Europa nel silenzio più assordante, mentre il Medio Oriente è ormai diventato una polveriera, ed è notizia delle ultime ore come il premier israeliano Benjamin Netanyahu si sia in parte “arreso” sulla questione ostaggi (leggi qui). Ma mentre in due zone fondamentali per l’equilibrio geopolitico si continua a morire, Washington deve fare i conti con le beghe politiche. Il tutto con l’ombra di Donald Trump sullo sfondo: il Tycoon sembra deciso a ricandidarsi e, salvo sorprese, sfiderà proprio il presidente uscente Biden

Ucraina, stop alle armi?

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, nelle scorse ore, ha tentato di richiamare il Congresso, esortandolo a votare a favore dei finanziamenti a Kiev, ora congelati. Se ciò non dovesse accadere, secondo l’inquilino della Casa Bianca, ciò sarebbe “il più grande regalo che possa sperare Vladimir Putin“. Motivo per cui Biden, che ha definito “sbalorditivo” questo stallo, vuole che non solo che la questione si risolva, ma che veda la luce prima delle vacanze natalizie. Uno stallo provocato anche dal complesso sistema di governo americano: nonostante Biden sia espressione dell’ala democratica, la maggioranza al Congresso ce l’ha il Partito Repubblicano, che seppur diviso nelle sue faide interne, ormai da mesi è sempre più predisposto verso lo stop agli aiuti verso Kiev.

Washington si spacca su Ucraina e Israele

A tal proposito, il presidente americano ha ribadito: “Chi è disposto a rinunciare a chiamare Putin a rispondere delle proprie responsabilità? Chi è disposto a farlo?” Non possiamo lasciare che Putin vinca, è nel nostro preponderante interesse nazionale e nell’interesse internazionale di tutti i nostri amici”, ha detto,  puntando il dito contro i repubblicani estremisti. Quest’ultimi, secondo Biden, starebbero “giocando a sfidare la nostra sicurezza nazionale” e “tengono in ostaggio i finanziamenti dell’Ucraina“. Gli appelli di Biden sono rimasti (almeno momentaneamente) inascoltati: i leader repubblicani al Senato hanno chiesto ai colleghi di bloccare, nel voto procedurale che si svolgerà oggi in Aula, la misura che contiene i 61 miliardi di aiuti militari e di assistenza all’Ucraina perché il pacchetto non include le loro richieste su immigrazione ed asilo. Che questo sia un pretesto o meno, non è al momento dato saperlo.

Ciò che però è evidente è come la questione Ucraina sia ancora centrale nel dibattito americano, mentre sembra essere uscito apparentemente fuori dai radar europei. Fin dall’inizio dell’invasione russa, gli Stati Uniti hanno speso fior di miliardi di dollari tra aiuti umanitari, economici e soprattutto militari, senza i quali – come dice la grande maggioranza degli analisti – Kiev non sarebbe riuscita a resistere così a lungo alla potenza militare di Mosca. E di ciò ne è perfettamente consapevole anche il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky. Non è un caso infatti che proprio Zelensky abbia disertato un videocollegamento con il Senato americano, proprio a causa dello stallo sull’invio di armi (nonostante fonti ucraine parlino di “impegni last-minute”).

Join me as I deliver remarks urging Congress to pass my national security supplemental request, including funding to support Ukraine. https://t.co/cOtm6rgI0g

— President Biden (@POTUS) December 6, 2023

Zelensky e la crisi in patria

Il presidente ucraino, oltre a ciò, deve fare i conti anche con forti crisi interne (leggiqui). E’ notizia delle ultime ore come siano gelidi i rapporti tra lui ed il Capo di Stato Maggiore della Difesa ValeryZaluzhni. Secondo quanto riferiscono media occidentali ben informati sui fatti, il Zelensky mantiene linee di comunicazione parallele con i capi di alcuni rami militari. I dissapori con Zaluzhni dipenderebbero da questioni strettamente militari: al presidente è contestato il fatto di aver sprecato energie e uomini per territori importanti solo dal punto di vista simbolico, e questo avrebbe causato il fallimento della controffensiva ucraina. Il tutto mentre il generale inverno, storicamente amico dei russi, si avvicina.

Ultima – ma di fondamentale importanza – è la questione legata alle elezioni presidenziali. Quest’ultime si dovrebbero tenere, secondo quanto stabilito dalla Costituzione ucraina, nel 2024, ma lo stato di guerra e la legge marziale fanno propendere per un rinvio. E se per oltre un anno le divisioni politiche sono state messe da parte (tutti i partiti, ad eccezione di quelli dichiaratamente filo-russi, per altro messi fuori legge, hanno sostenuto ed appoggiato Zelensky), ora stanno improvvisamente ri-emergendo.

Israele: stagisti in rivolta contro la Casa Bianca

Più recente, e forse per questo più caldo. L’attacco del gruppo terroristico palestinese Hamas, scatenato il 7 ottobre 2022, ha di nuovo posto i riflettori sulla gravissima situazione medio-orientale, per troppo lasciata al proprio destino. A quella pioggia di bombe ne è seguita un’altra, quella sulla Striscia di Gaza, divenuta sempre di più una prigione a cielo aperto. Difficile stabilire il numero certo delle vittime, ma di certo sono migliaia (tra cui soprattutto civili, donne, anziani e bambini). Motivo per cui Biden si è recato personalmente a Tel Aviv, entrando nella storia come il primo presidente a mettere piede su suolo israeliano durante una guerra. Nel corso dell’incontro con Netanyahu, Biden lo ha raccomandato di “non fare gli errori americani dopo l’11 settembre”, con ovvi riferimenti alle successive guerre in Afghanistan e Iraq. Raccomandazione che tuttavia è servita a poco, visto quanto accaduto poco dopo.

Biden, oltre al Congresso, è attualmente alle prese con un altro avversario, o meglio gli avversari: gli stagisti della Casa Bianca: “Noi stagisti della Casa Bianca e dell’ufficio esecutivo del presidente non rimarremo in silenzio sul genocidio in corso del popolo palestinese”. E’ quanto si legge in una lettera firmata proprio da una quarantina giovani stagisti che chiedono al presidente di invocare il cessate il fuoco a Gaza, accusandolo di ignorare le richieste del popolo americano. Secondo quanto rivela Nbcnews, la lettera – che è stata indirizzata anche alla vicepresidente Kamala Harris – gli stagisti affermano: “Noi non siamo i leader di oggi – continuano – ma aspiriamo ad essere quelli di domani e noi non dimenticheremo come le richieste del popolo americano sono state finora ignorate”.

La lettera degli stagisti si aggiunge alla lunga lista di espressioni di dissenso rispetto alla linea di incondizionato sostegno ad Israele assunta dal Governo da parte di centinaia funzionari dell’amministrazione, del dipartimento di Stato, della Cooperazione allo sviluppo ed altre agenzie. Gli stagisti non hanno firmato la lettera con i loro nomi, ma si sono qualificati con gli uffici a cui sono assegnati e con la loro provenienza etnica o il genere, “palestinese, ebreo, arabo, musulmano, cristiano, afroamericano, asiatico, latino, bianco, queer“.

Tuttavia a Washington c’è chi pensa già alla fine della guerra, anche se il tema non sembra essere all’ordine del giorno. Il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller ha infatti risposto alle parole di Netanyahu, che ha affermato che Israele deve mantenere il controllo della sicurezza a Gaza dopo la guerra per garantire che l’enclave rimanga “smilitarizzata”. Il premier ha anche respinto l’intervento di una forza internazionale, affermando che l’esercito israeliano è l’unico idoneo a questo compito. “Non penso che sarebbe nell’interesse di nessuno – né nell’interesse di Israele e né in quello del popolo palestinese – che, dopo la fine delle principali operazioni di combattimento, Israele se ne vada e lasci un vuoto di sicurezza. Ci sarà un’illegalità dilagante all’interno di Gaza”, ha detto Miller.

Biden-Trump, atto secondo

A preoccupare il presidente degli Stati Uniti in carica, oltre alle tensioni internazionali, ci sono le elezioni presidenziali 2024. Se è vero che il Partito Democratico lo ricandiderà, anche per mancanza di alternative credibili, il Partito Repubblicano punterà nuovamente su Donald Trump, in unremake della sfida avvenuta 4 anni fa. Un’elezione che causò gravì disordini, ovvero la tentata occupazione del Congresso ad opera degli estremisti filo-Trump: rivolta che, secondo i giudici americani, è stata fomentata proprio dal Tycoon. Accuse che gli sono costate anche l’arresto con tanto di foto segnaletiche, cosa mai accaduto ad un ex presidente prima di lui. Nonostante ciò, la Costituzione americana non gli vieta di candidarsi, ed anzi è fortemente sostenuto dalla maggioranza del Partito. I sondaggi per ora, anche se di poco, premiano proprio Trump. E la politica estera, da sempre centrale non solo nella politica ma anche nella propaganda elettorale in America, sarà decisiva.