Il Papa abbraccia gli indigeni canadesi sopravvissuti alle violenze dei cattolici: “Dolore e vergogna”

25 luglio 2022 | 19:40
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Il Papa abbraccia gli indigeni canadesi sopravvissuti alle violenze dei cattolici: “Dolore e vergogna”
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Il Papa abbraccia gli indigeni canadesi sopravvissuti alle violenze dei cattolici: “Dolore e vergogna”
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Il Papa abbraccia gli indigeni canadesi sopravvissuti alle violenze dei cattolici: “Dolore e vergogna”
Il Papa abbraccia gli indigeni canadesi sopravvissuti alle violenze dei cattolici: “Dolore e vergogna”

Il Papa incontra le popolazioni indigene First Nations, Métis e Inuit e, in sedia a rotella, prega tra le tombe del cimitero della “Collina degli Orsi” a Maskwacis. Il capo indiano Aquila d’Oro: “Santità grazie per voler ricercare con noi la verità”. Il Pontefice: “Chiedo perdono per i modi in cui molti membri della Chiesa e delle comunità religiose hanno cooperato, anche attraverso l’indifferenza, a quei progetti di distruzione culturale e assimilazione forzata dei governi dell’epoca”

Maskwacis – Rulli di tamburi, copricapi con piume e pelli, melodie e canti dei tempi antichi che tornano a risuonare in quelle terre che un tempo erano dominate da quelli che noi oggi conosciamo come indiani d’America. E’ questa l’accoglienza riservata a Papa Francesco nella prima tappa del suo Viaggio Apostolico in Canada.

La giornata del Pontefice è iniziata molto presto: alle 8.45 locali (16.45 ora di Roma), dopo aver celebrato la Santa Messa in privato, ha percorso 100 chilometri in auto per raggiungere Maskwacis dove incontra le popolazioni indigene First Nations, Métis e Inuit. Francesco arriva in sedie a rotelle e subito si reca al cimitero. La mano gli copre il volto, la faccia è segnata dal dolore. Il Papa passa in carrozzina tra le croci, alcune addobbate con le piume mentre il suono dei tamburi continua a riecheggiare e riporta alla memoria il dolore degli indigeni canadesi.

Infatti è stato il ritrovamento, la scorsa estate, dei resti di centinaia di bambini nativi nei pressi di scuole cattoliche in Canada a riaccendere i riflettori su una delle pagine più buie della storia del Paese nordamericano. Una pagina buia che è il motivo per cui Papa Francesco ora è in Canada. Quello avvenuto nelle scuole residenziali canadesi è stato definito un “genocidio culturale” che per oltre un secolo il governo canadese ha perpetrato ai danni delle comunità native, portando via alle famiglie, spesso con la forza, centinaia di migliaia di bambini che furono iscritti in scuole finanziate dallo stato e gestite dalla Chiesa cattolica.

L’obiettivo di questi istituti, rimasti attivi fino alla fine degli anni settanta, era quello di assimilare i bambini nativi alla cultura dominante, vietando loro di parlare la loro lingua e seguire le proprie tradizioni, forzando anche la conversione cristiana. In questi collegi i bambini hanno subito maltrattamenti, terribili abusi fisici e sessuali, e migliaia di ragazzi vi hanno trovato la morte, secondo quanto ha stabilito nel 2015 il rapporto della Truth and Reconciliation Commission, la commissione istituita dopo che nel 2008 il governo canadese si è formalmente scusato con le comunità indigene.

È durata sette anni l’inchiesta della commissione per la verità e la riconciliazione, con i suoi membri che hanno viaggiato per l’intero, sconfinato, Canada per poter parlare con ex studenti di queste scuole che, istituite alla fine del 19esimo secolo, hanno chiuso i battenti in gran parte alla fine degli settanta, con qualcuna ancora attiva fino agli anni ’90. Alla fine, la commissione ha fatto un quadro di “uno dei capitoli più bui e inquietanti” della storia del Canada, con bambini “strappati alle loro famiglie, alle loro identità e al rispetto di se stessi” sottoposti a “discriminazioni, deprivazioni ed ogni tipo di abusi fisici, sessuali, emotivi e mentali”.

Ma la commissione non solo descriveva il “genocidio culturale” perpetrato in quelle scuole, ma ha lanciato l’allarme sui 6mila bambini che sono morti per malnutrizione, malattie ed altre cause in quelle scuole. In molti casi le famiglie non furono neanche informate, ed i bambini venivano sepolti intorno alle scuole stesse, con “i campi da gioco che venivano trasformati in cimiteri”, come disse durante la presentazione del rapporto sei anni fa una delle componenti della commissione.

Un vero dramma che riemerge nel Bear Park Pow-Wow Grounds, dove, ad accogliere il Papa, c’è anche un lungo striscione rosso con i nomi dei bambini uccisi. Uno striscione che Bergoglio bacia e benedice. Ma gli indigeni per il Santo Padre hanno parole di ringraziamento: “Ha viaggiato molto per essere con noi sulla nostra terra e per camminare con noi sulla via della riconciliazione. Desideriamo riconoscere con profondo apprezzamento il grande sforzo personale che ha fatto per arrivare nella nostra terra. È una benedizione riceverLa e ospitarLa tra noi”, dice nel suo saluto il capo indiano Aquila d’Oro, che dà così il benvenuto al Papa nella “vasta distesa di terra chiamata Canada, e che i Popoli Indigeni chiamano parte di Turtle Island, è la tradizionale patria delle Prime Nazioni, dei Métis e del Popolo Inuit. Qui a Maskwacis siamo sulla terra del Treaty Six, il territorio ancestrale dei Cree, Dene, Blackfoot, Saulteaux e Nakota Sioux da tempo immemorabile”.

“Sono stato uno studente qui alla scuola residenziale Ermineskin, che, per la Sua visita tra noi oggi, rappresenta tutte le scuole residenziali del nostro Paese. Si sono riuniti qui questa mattina con la gente di Maskwacis i sopravvissuti delle scuole residenziali, i capi, i dirigenti, gli anziani, i custodi della conoscenza e i giovani delle comunità First Nations, Métis e Inuit di tutta la nostra terra”, spiega Aquila d’Oro, che in passato ha ricoperto il ruolo di ex Commissario della Commissione per la Verità e la Riconciliazione.

“Ho ascoltato quasi 7mila testimonianze di ex studenti di scuole residenziali in questo Paese. Durante la recente visita a casa Sua in Vaticano da parte di una delegazione di sopravvissuti indigeni, anziani, custodi della conoscenza e giovani, ha anche sentito degli abusi subiti da così tante nostre persone in questa e in altre scuole residenziali – prosegue l’indigeno -. Durante il nostro tempo con Lei, è stato chiaro a tutti noi che ha ascoltato profondamente e con grande compassione le testimonianze che hanno raccontato del modo in cui la nostra lingua è stata repressa, la nostra cultura ci è stata sottratta e la nostra spiritualità denigrata. Ha sentito la devastazione che è seguita dal modo in cui le nostre famiglie sono state distrutte. E ora, Santità, Lei è venuto nella nostra terra in risposta al nostro invito e come Lei ci ha promesso. Ha detto che viene come pellegrino, cercando di camminare insieme a noi sulla via della verità, della giustizia, della guarigione, della riconciliazione e della speranza. Siamo lieti di accoglierLa per unirsi a noi. Speriamo sinceramente che il nostro incontro di questa mattina, e le parole che condivide con noi, otterranno una vera guarigione e una vera speranza per molte generazioni a venire”.

Francesco prende la parola. Il discorso lo pronuncia in spagnolo, lingua madre del Pontefice. Un discorso che è un lungo grido di dolore e vergogna per quanto accaduto nelle strutture cattoliche: “Giungo nelle vostre terre natie per
dirvi di persona che sono addolorato, per implorare da Dio perdono, guarigione e riconciliazione, per manifestarvi la mia vicinanza, per pregare con voi e per voi”.

Francesco rivela che durante l’incontro di fine marzo in Vaticano, gli furono regalati due paia di mocassini, “segno della sofferenza patita dai bambini indigeni, in particolare da quanti purtroppo non fecero più ritorno a casa dalle scuole residenziali. Mi era stato chiesto di restituire i mocassini una volta arrivato in Canada; lo farò al termine di queste parole, per le quali vorrei prendere spunto proprio da questo simbolo, che ha ravvivato in me nei mesi passati il dolore, l’indignazione e la vergogna”.

“Il ricordo di quei bambini infonde afflizione ed esorta ad agire affinché ogni bambino sia trattato con amore, onore e rispetto. Ma quei mocassini ci parlano anche di un cammino, di un percorso che desideriamo fare insieme. Camminare insieme, pregare insieme, lavorare insieme, perché le sofferenze del passato lascino il posto a un futuro di giustizia, guarigione e riconciliazione”, dice addolorato il Papa. Che spiega: “Ecco perché la prima tappa del mio pellegrinaggio in mezzo a voi si svolge in questa regione che vede, da tempo immemorabile, la presenza delle popolazioni indigene. È un territorio che ci parla, che permette di fare memoria”, una memoria che ci porta tristemente agli avvenimenti tragici che hanno segnato la vita delle popolazioni indigeni: “Il luogo in cui ci troviamo fa risuonare in me un grido di dolore, un urlo soffocato che mi ha accompagnato in questi mesi. Ripenso al dramma subito da tanti di voi, dalle vostre famiglie, dalle vostre comunità; a ciò che avete condiviso con me sulle sofferenze patite nelle scuole residenziali. Sono traumi che, in un certo modo, rivivono ogni volta che vengono rievocati e mi rendo conto che anche il nostro incontro odierno può risvegliare ricordi e ferite, e che molti di voi potrebbero trovarsi in difficoltà mentre parlo. Ma è giusto fare memoria, perché la dimenticanza porta all’indifferenza”.

“Quando i coloni europei vi arrivarono per la prima volta, c’era la grande opportunità di sviluppare un fecondo incontro tra culture, tradizioni e spiritualità. Ma in gran parte ciò non è avvenuto. E mi tornano alla mente i vostri racconti: di come le politiche di assimilazione hanno finito per emarginare sistematicamente i popoli indigeni; di come, anche attraverso il sistema delle scuole residenziali, le vostre lingue e culture sono state denigrate e soppresse; di come i bambini hanno subito abusi fisici e verbali, psicologici e spirituali; di come sono stati portati via dalle loro case quando erano piccini e di come ciò abbia segnato in modo indelebile il rapporto tra i genitori e i figli, i nonni e i nipoti”, prosegue il Papa. Gli indigeni presenti, al ricordo di quelle atrocità, piangono. Lacrime immortalate dalle telecamere mentre il Pontefice implora il perdono: “Sono qui perché il primo passo di questo pellegrinaggio penitenziale in mezzo a voi è quello di rinnovarvi la richiesta di perdono e di dirvi, di tutto cuore, che sono profondamente addolorato: chiedo perdono per i modi in cui, purtroppo, molti cristiani hanno sostenuto la mentalità colonizzatrice delle potenze che hanno oppresso i popoli indigeni. Sono addolorato. Chiedo perdono, in particolare, per i modi in cui molti membri della Chiesa e delle comunità religiose hanno cooperato, anche attraverso l’indifferenza, a quei progetti di distruzione culturale e assimilazione forzata dei governi dell’epoca, culminati nel sistema delle scuole residenziali”.

Quello che la fede cristiana ci dice è che si è trattato di un errore devastante, incompatibile con il Vangelo di Gesù Cristo. Addolora sapere che quel terreno compatto di valori, lingua e cultura, che ha conferito alle vostre popolazioni un genuino senso di identità, è stato eroso, e che voi continuiate a pagarne gli effetti. Di fronte a questo male che indigna, la Chiesa si inginocchia dinanzi a Dio e implora il perdono per i peccati dei suoi figli. Vorrei ribadirlo con vergogna e chiarezza: chiedo umilmente perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene.

Ma le scuse, sottolinea il Papa, “non sono un punto di arrivo”, bensì “costituiscono solo il primo passo, il punto di partenza. Prego e spero che i cristiani e la società di questa terra crescano nella capacità di accogliere e rispettare l’identità e l’esperienza delle popolazioni indigene. Auspico che si trovino vie concrete per conoscerle e apprezzarle, imparando a camminare tutti insieme. Da parte mia, continuerò a incoraggiare l’impegno di tutti i Cattolici nei riguardi dei popoli indigeni”.

Infine, il pensiero del Papa va a quelle comunità e quei centri come Kamloops, Winnipeg, vari siti nel Saskatchewan, nello Yukon e nei Territori del Nordovest che non saranno toccati dalla visita: “Sappiate che conosco la sofferenza, i traumi e le sfide dei popoli indigeni in tutte le regioni di questo Paese. Le mie parole pronunciate lungo questo cammino penitenziale sono rivolte a tutte le comunità e le persone native, che abbraccio di cuore”.

“Oggi sono qui a ricordare il passato, a piangere con voi, a guardare in silenzio la terra, a pregare presso le tombe. Lasciamo che il silenzio ci aiuti tutti a interiorizzare il dolore. Silenzio. E preghiera: di fronte al male preghiamo il Signore del bene; di fronte alla morte preghiamo il Dio della vita”, conclude Papa Francesco che, nonostante il dolore al ginocchio, resta in piedi davanti all’inno finale, cantano da una donna indigena in lacrime. E, prima del Padre Nostro e del saluto finale, per il Pontefice c’è un dono particolare: un copricapo di piume.

(Il Faro online) Foto © Vatican Media – Clicca qui per leggere tutte le notizie di Papa & Vaticano
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