Papa Francesco chiede di pregare per Benedetto XVI: “È molto malato”

28 dicembre 2022 | 10:45
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Papa Francesco chiede di pregare per Benedetto XVI: “È molto malato”

“Chiediamo al Signore che lo consoli e lo sostenga in questa testimonianza di amore alla Chiesa, fino alla fine”

Città del Vaticano – “Vorrei chiedere a tutti voi preghiere per il Papa emerito Benedetto, che nel silenzio sta sostenendo la Chiesa. È molto ammalato, chiediamo al Signore che lo consoli e lo sostenga in questa testimonianza di amore alla Chiesa, fino alla fine“. A dirlo è Papa Francesco al termine dell’Udienza generale di oggi, svoltasi, come di consueto, nell’Aula Paolo VI, in Vaticano.

E in merito alle condizioni di salute del Papa emerito, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, rispondendo alle domande dei giornalisti, “conferma che nelle ultime ore si è verificato un aggravamento dovuto all’avanzare dell’età. La situazione al momento resta sotto controllo, seguita costantemente dai medici. Al termine dell’udienza generale Papa Francesco si è recato al monastero Mater Ecclesiae per visitare Benedetto XVI. Ci uniamo a lui nella preghiera per il Papa emerito”.

Joseph Ratzinger: dalla cattedra universitaria a quella di Pietro

Joseph Ratzinger è nato in Marktl am Inn, nel territorio della Diocesi di Passau, in Germania, il 16 aprile dell’anno 1927. Suo padre era un commissario di gendarmeria e proveniva da una famiglia di agricoltori della bassa Baviera, le cui condizioni economiche erano piuttosto modeste. La madre era figlia di artigiani di Rimsting, sul lago di Chiem, e prima di sposarsi aveva fatto la cuoca in diversi alberghi.

Egli ha trascorso la sua infanzia e la sua adolescenza a Traunstein, una piccola città vicino alla frontiera con l’Austria, a circa trenta chilometri da Salisburgo. Ha ricevuto in questo contesto, che egli stesso ha definito “mozartiano”, la sua formazione cristiana, umana e culturale.

Il tempo della sua giovinezza non è stato facile. La fede e l’educazione della sua famiglia lo ha preparato alla dura esperienza dei problemi connessi al regime nazista: egli ha ricordato di aver visto il suo parroco bastonato dai nazisti prima della celebrazione della Santa Messa e di aver conosciuto il clima di forte ostilità nei confronti della Chiesa cattolica in Germania.

Ma proprio in questa complessa situazione, egli ha scoperto la bellezza e la verità della fede in Cristo e fondamentale è stato il ruolo della sua famiglia che ha sempre continuato a vivere una cristallina testimonianza di bontà e di speranza radicata nell’appartenenza consapevole alla Chiesa. Verso la conclusione di quella tragedia che è stata la Seconda Guerra Mondiale egli venne anche arruolato nei servizi ausiliari antiaerei.

Dal 1946 al 1951 ha studiato filosofia e teologia presso la Scuola superiore di filosofia e teologia di Frisinga e presso l’Università di Monaco. Il 29 giugno dell’anno 1951 è stato ordinato sacerdote. Appena un anno dopo, don Joseph ha iniziato la sua attività didattica nella medesima Scuola di Frisinga dove era stato studente. Nel 1953 si è laureato in teologia con una dissertazione sul tema: “Popolo e Casa di Dio nella Dottrina della Chiesa di sant’Agostino”.

Nel 1957 ha fatto la libera docenza col noto professore di teologia fondamentale di Monaco, Gottlieb Söhngen, con un lavoro su: “La teologia della storia di san Bonaventura”. Dopo un incarico di dogmatica e di teologia fondamentale presso la Scuola superiore di Frisinga, egli ha continuato la sua attività di insegnamento a Bonn (1959-1969), a Münster (1963-1966) e a Tubinga (1966-1969). Dal 1969 è professore di dogmatica e di storia dei dogmi presso l’Università di Ratisbona dove ha ricoperto anche l’incarico di Vice Preside dell’Università.

La sua intensa attività scientifica lo ha portato a svolgere importanti incarichi in seno alla Conferenza Episcopale Tedesca, nella Commissione Teologica Internazionale. Tra le sue pubblicazioni, numerose e qualificate, particolare eco ha avuto “Introduzione al cristianesimo” (1968), una raccolta di lezioni universitarie sulla “professione di fede apostolica”. Nel 1973, poi, è stato pubblicato il volume: “Dogma e Predicazione” che raccoglie i saggi, le meditazioni e le omelie dedicate alla pastorale.

Una vastissima risonanza ha poi avuto la sua arringa pronunciata dinanzi all’Accademia cattolica bavarese sul tema: “Perché io sono ancora nella Chiesa?”. Ebbe a dichiarare con la sua consueta chiarezza: “Solo nella Chiesa è possibile essere cristiani e non accanto alla Chiesa”.

La serie delle sue incalzanti pubblicazioni è proseguita copiosa e puntuale nel corso degli anni, costituendo un punto di riferimento per tante persone e certamente per quanti sono impegnati nello studio approfondito della teologia. Si pensi, ad esempio, al volume “Rapporto sulla fede” del 1985 e a “Il sale della terra” del 1996. Va ricordato anche il libro “Alla scuola della Verità” dato alle stampe in occasione del suo settantesimo compleanno.

Di grande valore, centrale nella vita del Pastore Ratzinger, è stata l’alta e proficua esperienza della sua partecipazione al Concilio Vaticano II con la qualifica di “esperto” che egli ha vissuto anche come conferma della propria vocazione da lui definita “teologica”.

Il 25 marzo 1977 Papa Paolo VI lo ha nominato Arcivescovo di München und Freising. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 28 maggio dello stesso anno: primo sacerdote diocesano ad assumere, dopo ottant’anni, il governo pastorale della grande Diocesi bavarese. Egli ha scelto come motto episcopale: “Collaboratori della Verità”.

Sempre Papa Montini lo ha creato e pubblicato Cardinale, del Titolo di Santa Maria Consolatrice al Tiburtino, nel Concistoro del 27 giugno 1977. È stato Relatore alla Quinta Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi (1980) sul tema della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo. In quell’occasione, nella sua prima Relazione, ha svolto un’ampia e puntuale analisi sulla situazione della famiglia nel mondo, sottolineando in proposito la crisi della cultura tradizionale di fronte alla mentalità tecnicistica e meramente razionale. Accanto agli aspetti negativi, non ha mancato di evidenziare la riscoperta del vero personalismo cristiano come lievito che feconda l’esperienza coniugale di molte coppie di sposi, ed ha rivolto anche un invito ad una retta valutazione del ruolo della donna, che va annoverata tra le questioni fondamentali nella riflessione sul matrimonio e sulla famiglia.

È stato anche Presidente Delegato della Sesta Assemblea (1983) che ha avuto per tema la riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa. Nel suo intervento ai lavori ha ribadito le norme pastorali promulgate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede riguardanti il Sacramento della Riconciliazione ed ha approfondito, in particolare, le questioni legate a due interrogativi emersi più volte durante i lavori assembleari: quello riguardante l’obbligo di confessare i peccati gravi già assolti durante l’assoluzione generale e quello concernente la confessione personale come elemento essenziale del Sacramento.

La sua parola ha offerto un contributo fondamentale di riflessione e di confronto nello svolgimento di tutti i Sinodi dei Vescovi. Il 25 novembre 1981 Giovanni Paolo II lo ha nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. È divenuto anche Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale. Il 15 febbraio 1982 ha quindi rinunciato al governo pastorale dell’Arcidiocesi di München und Freising.

Il suo servizio come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede è stato instancabile ed è impresa impossibile elencare questo lavoro nello spazio di una biografia. La sua opera, come Collaboratore di Giovanni Paolo II, è stata continua e preziosa. Tra i tantissimi punti-fermi della sua opera, va segnalato il suo ruolo di Presidente della Commissione per la Preparazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.

Il 5 aprile 1993 è stato chiamato a far parte dell’Ordine dei Vescovi e ha preso possesso del Titolo della Chiesa Suburbicaria di Velletri-Segni. Il 6 novembre 1998 è stato nominato Vice-Decano del Collegio Cardinalizio e il 30 novembre 2002 è divenuto Decano: ha preso possesso del Titolo della Chiesa Suburbicaria di Ostia. Sino all’elezione alla Cattedra di Pietro egli è stato Membro del Consiglio della II Sezione della Segreteria di Stato; delle Congregazioni per le Chiese Orientali, per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, per i Vescovi, per l’Evangelizzazione dei Popoli, per l’Educazione Cattolica; del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani; della Pontificia Commissione per l’America Latina e della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”.

In occasione del suo cinquantesimo di ordinazione sacerdotale, Giovanni Paolo II gli ha inviato un messaggio nel quale, riferendosi alla coincidenza del suo giubileo con la solennità liturgica dei Santi Pietro e Paolo, con parole in qualche modo “profetiche” gli ha ricordato che “in Pietro risalta il principio di unità, fondato sulla fede salda come roccia del Principe degli Apostoli; in Paolo l’esigenza intrinseca del Vangelo di chiamare ogni uomo ed ogni popolo all’obbedienza della fede.

Al Cardinale Ratzinger sono state affidate le meditazioni della Via Crucis 2005 celebrata al Colosseo. In quell’indimenticabile Venerdì Santo, Giovanni Paolo II, stretto, quasi aggrappato al Crocifisso, in una struggente “icona” di sofferenza, ha ascoltato in silenzioso raccoglimento le parole di colui che sarebbe divenuto il suo Successore sulla Cattedra di Pietro. Significativamente, il leitmotiv della Via Crucis è stata la parola pronunciata da Gesù la Domenica delle Palme, con la quale – immediatamente dopo il suo ingresso a Gerusalemme – risponde alla domanda di alcuni greci che lo volevano vedere: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). Con queste parole il Signore ha offerto una interpretazione “eucaristica” e “sacramentale” della sua Passione. Ci mostra – è stata la riflessione del Porporato – che la Via Crucis non è semplicemente una catena di dolore, di cose nefaste, ma è un mistero: è proprio questo processo nel quale il chicco di grano cade in terra e porta frutto. Con altre parole, ci mostra che la Passione è un’offerta di se stesso e questo sacrificio porta frutto e diventa quindi un dono per tutti.

Appena ventiquattr’ore prima della morte di Giovanni Paolo II, ricevendo a Subiaco il “Premio San Benedetto” promosso dalla Fondazione sublacense “Vita e famiglia”, aveva ribadito con parole oggi particolarmente eloquenti: “Abbiamo bisogno di uomini come Benedetto da Norcia, che in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce. Ritornò e fondò Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo. Così Benedetto, come Abramo, diventò padre di molti popoli”.

Venerdì 8 aprile egli – come Decano del Collegio Cardinalizio – ha presieduto la Santa Messa esequiale di Giovanni Paolo II in piazza San Pietro. La sua omelia, si può dire, ha espresso la grande fedeltà al Papa e la sua stessa missione. “”Seguimi” dice il Signore risorto a Pietro, come sua ultima parola a questo discepolo, scelto per pascere le sue pecore. “Seguimi” – questa parola lapidaria di Cristo può essere considerata la chiave per comprendere il messaggio che viene dalla vita del nostro compianto ed amato Papa Giovanni Paolo II, le cui spoglie deponiamo oggi nella terra come seme di immortalità – il cuore pieno di tristezza, ma anche di gioiosa speranza e di profonda gratitudine”.

“Seguimi!” è stata la parola-chiave, il filo-conduttore dell’omelia che il Cardinale Ratzinger ha rivolto al mondo intero durante le esequie del Santo Padre. Una parola che racconta la missione di Giovanni Paolo II ed è allo stesso tempo una esortazione che raggiunge ogni persona.

Alla vigilia della sua elezione al Soglio Pontificio, nella mattina di lunedì 18 aprile, nella Basilica Vaticana, ha celebrato la Santa Messa “pro eligendo Romano Pontifice” insieme con i 115 Cardinali, a poche ore dall’inizio del Conclave che lo avrebbe eletto. “In quest’ora di grande responsabilità – ha esortato all’omelia -, ascoltiamo con particolare attenzione quanto il Signore ci dice”. Riferendosi alle letture della Liturgia, ha ricordato che “la misericordia divina pone un limite al male. Gesù Cristo è la misericordia divina in persona: incontrare Cristo significa incontrare la misericordia di Dio. Il mandato di Cristo è divenuto mandato nostro attraverso l’unzione sacerdotale; siamo chiamati a promulgare – non solo a parole ma con la vita, e con i segni efficaci dei sacramenti, “l’anno di misericordia del Signore””. “La misericordia di Cristo – ha sottolineato – non è una grazia a buon mercato, non suppone la banalizzazione del male. Cristo porta nel suo corpo e sulla sua anima tutto il peso del male, tutta la sua forza distruttiva. Egli brucia e trasforma il male nella sofferenza, nel fuoco del suo amore sofferente”. “Quanto più siamo toccati dalla misericordia del Signore – ha aggiunto -, tanto più entriamo in solidarietà con la sua sofferenza – diveniamo disponibili a completare nella nostra carne “quello che manca ai patimenti di Cristo””. Quindi l’elezione come Romano Pontefice. Il resto è storia.

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