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Dal legno alla tecnologia aerospaziale: lo sviluppo della racchetta da tennis

La forma ovale delle origini e il sweet pool, il punto da cui partono i colpi verso l’avversario. Le migliori con cui giocare

La racchetta è il prolungamento del braccio verso una pallina, che deve andare dove dice il campione. “Il tennis è uno sport violento. E’ pugilato senza contatto”. Andre Agassi in questo modo appellava il tennis in cui è stato uno dei più grandi campioni  della storia.

E lo strumento indispensabile per giocare, come il pallone nel calcio, come il giavellotto per l’atletica, come la bici per il ciclismo, come la barca a remi per il canottaggio, è sicuramente lei. La racchetta. Un attrezzo del mestiere indispensabile. Telaio a cui è agganciato un piatto di corde incrociate, che spesso  i tennisti toccano, accarezzano, anche in partita. Gesto che scarica il nervoso, ma anche qualcosa che serve per capire che il ‘prolungamento del braccio’ sulla terra rossa, come sui campi di colore blu e quelli in erba naturale, come sono nel leggendario torneo  di Wimbledon, è aggiustato alla perfezione per quell’ace da non far acchiappare all’avversario, dall’altra parte della rete centrale. Senza la racchetta il tennis non esisterebbe. Come non lo farebbe senza la pallina. Rimbalzo, compressione, feltro e spettacolo. Il Faro on line ha già spiegato storia e produzione industriale di quest’ultima (leggi qui). E a poche ore dalla competizione di Roma, di speciali Internazionali di tennis, quarto Masters 1000 della stagione, dove parteciperanno gli azzurri tra cui Jannik Sinner e Fabio Fognini, si dedica ad una particolare inchiesta sullo strumento che essi useranno nei campi del Foro Italico. La racchetta.

Una evoluzione lunghissima per quello strumento oggi degli anni 2021, utilizzato da milioni di praticanti nel mondo e fatto di particolarità tecnologiche. Come probabilmente è accaduto per gli scarpini nel calcio o il tipo di palla ovale usata nel rugby, la racchetta ha ridefinito, nel tempo, lo stile del tennis. Rovesci, movimenti eleganti, lanci imprendibili. Dipendono dalla manovra che la mano dei campioni, che si affatica per i giovani che all’inizio hanno imparato a supportarla e sopportarla, poi diventati leggende dell’Atp, utilizzano su di essa. La racchetta è la presenza indispensabile allora. E’ l’oggetto richiesto ai campioni a bordo campo. “Questa è la racchetta di Nadal!.. di Sinner! .. di Fognini! .. di Djokovic”. Quanti ammiratori l’avranno detto tra un incontro e l’altro, ammirato ‘in un avanti e indietro’ degli occhi, sul campo di gioco? Probabilmente innumerevoli. Se per Roby Baggio gli scarpini della Diadora sono stati il simbolo dei  suoi dribbling magnifici in area  di rigore, allora la racchetta per i tennisti è lo strumento tramite il quale la fantasia dei colpi del  tennis si è fatta strada nell’immaginario dei tifosi.

La storia evolutiva della racchetta: dal legno alla tecnologia aerospaziale

Si può immaginare. Le prime racchette, partendo dal 1874, erano fatte di legno. E questo accadde fino alla fine degli anni settanta. Agli inizi del 1900 le racchette subirono il definitivo passaggio alla forma ovale. Tantissimi i metodi di assemblaggio nel tempo. Tuttavia, la tecnica costruttiva restò invariata: telaio costruito tramite la stratificazione dei sette listelli di legno (il frassino principalmente) di differente qualità ed elasticità. Listelli compressi e incollati tutti insieme che rendevano unica ogni racchetta. Le corde erano fatte in budello naturale, con rivestimento dell’impugnatura in cuoio, che dopo un paio di settimane di gioco, diventava scuro a contatto con il sudore della mano della tennista. Una zona importante quella, che misura l’energia del campione. Una stretta sulla racchetta, che testimonia la forza e la determinazione del tennista.

Sia i professionisti che gli amatori impararono ad usare e ad amare la Dunlop Maxply Fort. La Dunlop allora. La stessa azienda che ha riempito il mercato del tennis con le sue palline da gioco. Essa aveva sottili fasce rosse oppure anche bianche, sulla parte finale dell’impugnatura. Un colore che prese molto e che sposò l’utilizzo del grande John McEnroe. Quest’ultimo la portò sui campi nei primi anni ottanta. I materiali però stavano per cambiare e il tennis con esse stava mutando carattere.

Una delle rivoluzioni produttive fu quella della  graffite. Ancora lui Renè Lacoste. Torna l’imprenditore  francese dei materiali sportivi. Il grande tennista francese, fondatore del brand di moda ispirato allo sport, realizzò un telaio in alluminio. Nel 1965 Renè mise sul mercato un prodotto racchetta fatto di questo materiale. Leggero e con ottime capacità di distribuzione delle masse. 10 anni dopo però arrivò il colpo di genio. Come accade nei campi del tennis. L’ace della storia che cambiò la produzione della racchetta. A colpo di Howard Head, che stava innovando lo sci, quest’ultimo iniziò a costruire racchette con strati di resine sintetiche. Nel 1979 acquistò il brevetto della Black Ace. La prima racchetta fatta per il cento per centro in grafite la lanciò tuttavia il taiwanese Kunnan Lo.

Leggerezza, precisione, versatilità. Erano queste le tre caratteristiche cardini che sottolinearono la nuova era della racchetta di tennis. Permetteva poi di colpire la pallina anche a 150km/h. nacquero poi veri centri di ricerca e di sviluppo. Fu una ‘scienza della racchetta del tennis’ che prese piede e colpi clamorosi in campo. Si sperimentarono materiali diversi, come quello in fibra di vetro, come l’astroceramica, come il carbonio o l’aramide. Da questi, si diede vita ad altri materiali rivoluzionari come il noryl, il vectran o il quartzel. La collaborazione con l’ingegnere aerospaziale Howard Sommer su il punto di partenza della racchetta del futuro: fu inserito il telaio in capsule con miscrosfere che si caricavano e si caricano tutt’oggi, di energia cinetica e permettono di eliminare le vibrazioni del manico. Stabilità allora, l’elemento che diede alla racchetta sicura utilizzazione e affidabilità. Crebbero le prestazioni dei tennisti e ci fu un elevato comfort di gioco, minor affaticamento del braccio e ridotta possibilità di infortuni. Un manico che potesse essere ufficialmente il prolungamento del braccio. Un braccio verso la pallina e un braccio prolungato verso punti preziosi nei match.

La tecnologia ha impresso profondi cambiamenti allora. Ha rimodellato stile, caratteristiche e preparazione fisica del tennista. Se dagli anni ottanta si gioca un altro tipo di tennis, è dovuto proprio alla racchetta.

Il ‘sweet pool’: il colpo di scena. Da qualsiasi punto si colpisca, la pallina schizza dalla racchetta a una velocità pazzesca

La motivazione certamente risiede nei materiali usati per la produzione dello strumento cardine del gioco. Questi hanno fatto in modo di delineare un punto ottimale sulla superficie della racchetta: il sweet pool. Il punto d’impatto della pallina. Si è ampliato dal centro a tutto il piatto delle corde. Da qualsiasi zona della racchetta si colpisca, il tiro può avere una velocità pazzesca. Tutta la racchetta partecipa al colpo spettacolo in partita. Vuol dire che nel tennis contemporaneo le differenze tecniche tra i giocatori sono molto sottili. Sono pochi quelli che portano avanti l’approccio ‘servizio e volée’. Si gioca tutto sulla battuta. La conquista del torneo Atp passa per un micidiale colpo da 250 orari. Questo riduce la possibilità di risposta da parte  dell’avversario.

Ma allora la domanda che nasce è questa: da cosa dipende la classe del tennista? La sua invincibilità? Dalla racchetta? E’ l’eterna domanda che si delinea  spesso anche in Formula Uno. E’ il pilota che fa la macchina, oppure è la monoposto che permette di vincere al pilota? Ecco. La stessa cosa accade nel tennis. Le racchette odierne consentono di creare colpi vincenti da qualsiasi parte, rimbalzi la pallina e parta verso l’avversario. La sottile linea di somiglianza tra i tennisti migliori al mondo passa per la loro grande fisicità, resistenza nel reggere lunghi scambi e abilità nel giocare. Aspetti  condizioni forse dalla racchetta standard usata da tutti. Con queste particolari caratteristiche. Con più tecnica e meno fantasia.

Pete Sampras, Roger Federer e McEnroe. Dai campioni il tennis è passato tramite la racchetta usata

Il gioco creato dalla racchetta è passato di campione in campione. Pete Sampras riprese da McEnroe la capacità di andare  a rete, ma con servizio maggiormente potente. Roger Federer migliorò il gioco di Sampras e acquisì lo scambio prepotente dal fondo. Rafael Nadal arretra sulla linea di bordo campo ed è in grado di creare colpi imprendibili, con la sua fisicità e la tenuta tosta del botta e risposta di grande potenza. Vuol dire che i tennisti si adeguano a una disciplina che nel tempo è mutata per tecnologia e tecnica. Ma come accade in tutti gli sport, probabilmente è il campione che fa sempre e comunque la differenza. E quelle racchette da loro usate in campo saranno sempre il loro prolungamento in campo e lo strumento tramite cui mostrare il loro grande talento. In quanto è vero che la racchetta è un’ampia piazza da dove far partire colpi micidiali e lo è per tutti, ma è pure vero che poi quei colpi hanno stile ed eleganza, velocità o modalità di essere mostrati in base al tipo del campione da cui è manovrata. Più fantasia insomma nel tennis. Come amato da John McEnroe.

Le racchette più usate e più amate: dalla Dunlop alla Babolat Pure Drive

Dunlop Maxply Fort

L’origine di tutte le racchette in legno. Una delle più longeve. Sul mercato nel 1931, divenne una scelta quasi obbligata per generazioni di professionisti e di appassionati.

Wilson T2000

Nel 1967, segna il primo successo commerciale per una racchetta non in legno. Billie Jean King e Clarck Gaebner vinsero con questa Wilson gli Us National dello stesso anno. Con Jimmy Connors e le sue vittorie a Wimbledon nel ‘74 e nell’82, che questo modello, entra nel mito.

Head Prince Pro

Un peso minore e un piatto più grande, rispetto alle racchette in legno che stavano abbandonando il mercato di utilizzo. Nel 1978, con la Prince Pro la diciottenne Pam Shriver sconfisse la Navratilova agli Us Open e dette battaglia a Chris Evert. Racchetta che può imprimere maggiore potenza nei colpi.

Dunlop Max 200G

Passaggio dall’alluminio alla grafite nel 1980 (per Dunlop, produttrice), una delle prime con questo materiale. Furono Steffi Graf e John McEnroe a mostrare le potenzialità, convincendo l’azienda a spingersi nella produzione in fibra di carbonio e in nylon, alla ricerca ancor più di leggerezza.

Prince Graphite 100

Con essa, si delinea la tendenza del ‘bigger is better’. Segue la scelta fatta da Dunlop con la Slazenger’s Max Predator, la prima big size del periodo. La Prince Graphite 100 nelle mani di Michael Chang consentiva una grande efficacia nel servizio.

Yonex R-22

Brand giapponese. L’arrivo della grafite la porta al successo negli anni ‘80. Fu usata da Martina Navratilova nel 1984, quando trionfò al Roland Garros, a Wimbledon e agli Us Open.

Wilson Pro Staff

Telai da 85 e 95 pollici. Grafite intrecciata al Kevlar su tutta la testa della racchetta. Una combinazione che restituiva il feeling Pro Staff. A renderla ancora più famosa pensarono Pete Sampras, Stefan Edberg, Jim Courier, Jimmy Connors, Steffi Graf e Roger Federer.

Head Radical

Sviluppata per massimizzare lo stile di un campione come Andre Agassi. Il tennista americano ricompensò il brand vincendo sette dei suoi otto Slam. Fece il suo ingresso sui campi nel 1993, divenendo la racchetta più venduta tra il 1999 e il 2004.

Babolat Pure Drive

Il marchio che nel 1875 mise per primo le corde sulle racchette, tirò fuori la Pure Drive con cui Andy Roddick vinse gli Us Open nel 2003. Una racchetta con sensori inseriti nel manico che registrano potenza, rotazione dei colpi, top spin, punto d’impatto della pallina e altre statistiche restituendo una panoramica di gioco tramite app. Approvata dalla Federazione, la Play è utilizzata da molti campioni.

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